Shadow of the Beast – Recensione

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La Bestia è tornata...

Shadow of the Beast
shadow of the beast

Shadow of the Beast è un gioco d'azione che segue la storia del capitolo risalente al 1989. I giocatori controllano Aarbron, rapito da bambino e corrotto dalla magia di un mostruoso guerriero. Il titolo ha dalla sua un gameplay originale con elementi platform e d'azione in cui si possono effettuare devastanti combo.

Data di Uscita:Genere:PEGI:Sviluppatore:Editore:Versione Testata:

Se nel lontano 1989 anche voi appartenevate al gruppetto di “quelli giusti” e, tra le vostre cianfrusaglie di gioco, potevate vantare un Amiga fiammante da far vomitare bile ai vostri amici, difficilmente non avrete mai sentito parlare di Shadow of the Beast. Ritenuto da parecchi come uno dei titoli più iconici dell’era 32 bit, ritenuto da molti di più come uno dei titoli più difficili mai apparsi su console a memoria di giocatore, Shadow of the Beast narrava le gesta di Aarbron, sfortunato bambino “del destino” rapito ancora in fasce dal perfido Lord Maletoth che, proprio nell’infante, intravide lo strumento perfetto per detenere il potere. Sfruttando le proprie conoscenze di magia Nera, Maletoth intrappolò nel corpo del bambino le anime delle creature da lui ucciso, trasformandolo in una Bestia spietata e assetata di sangue del tutto soggiogata alla sua volontà.

Un fantasy come si faceva una volta fatto di vendetta e di grandi poteri, di nemici mostruosi e boss grandi come grattacieli, di location medievaleggianti dal forte sapore grottesco e, inevitabilmente, di litri di sangue destinati a scorrere come piovesse. Il lavoro di Reflections Interactive, sotto l’egida dell’allora onnipresente Psygnosis, di motivi per passare alla storia ne aveva parecchi: ottima sceneggiatura, character design avanti anni luce (almeno per il 1989) e una giocabilità, seppur non alla portata di tutti nelle fasi avanzate di gioco, comunque accessibile ed immediata. Viene quasi da chiedersi, alla luce di tutto questo, perché siano dovuti trascorrere quasi 27 anni per assistere ad un remake di Shadow of the Beast – nonostante i due ottimi seguiti, sempre firmati Reflections e Psygnosis, del 1990 e 1992.

Dall’annuncio del 2013 in quel di Colonia, quando i ragazzi di Heavy Spectrum Entertainment Labs ufficializzarono dal palcoscenico della gamescom la volontà di rendere omaggio ad uno dei più illustri pezzi da novanta degli anni novanta, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia: fortunatamente, non abbastanza da far annegare un progetto in cui i giocatori con qualche ruga di troppo hanno riposto speranze e aspettative. Aspettative, sulla carta, piuttosto alte per un team con all’attivo un paio di titoli apparsi nel canale PlayStation Mobile: ma tutto sommato, peccati di gioventù a parte, non è andata affatto male.

 

Che questo nuovo Shadow of the Beast punti molto sul fattore nostalgia, a ben vedere, è cosa abbastanza scontata. L’assenza di una qualsivoglia variazione all’interno del canovaccio narrativo, riproposto pedissequamente a due decenni e mezzo di distanza, è solo la prima testimonianza di quella che, sotto una prima ottica, potremmo definire un’operazione Amarcord in piena regola. Non fosse che il pesante (e ben riuscito) autocitazionismo del titolo dei ragazzi di Heavy Spectrum, che spazia in modo astuto sia nel level che nel character design, rappresenta soltanto la superficie più esterna di un titolo che, al contrario, cerca di esprimere una dignità ed una personalità propria. Se dunque la vendetta della Bestia per l’omicidio del padre impostogli da Maletoth rimane il leitmotiv di questa produzione esclusiva per PS4, a mescolare le carte in regola ci pensano (almeno parzialmente) le meccaniche di gameplay, rivisitate in toto rispetto alla controparte side-scrolling del titolo originale.

Shadow of the Beast su PS4 è un action bidimensionale a scorrimento orizzontale, un ibrido di combattimento, esplorazione e, nelle fasi più avanzate, di risoluzione di enigmi logici ambientali incentrati sull’utilizzo di portali per il teletrasporto e di giochi di luce/ombra. L’enfasi, come lecito pensare, è posta sulla prima di queste componenti: ma se nella versione originale Amiga (sbloccabile senza troppa fatica nel proprio splendore a pochi bit) le forze di Maletoth venivano incontro ad Aarbron secondo i dettami del picchiaduro a scorrimento, lo sviluppatore inglese ha pensato di movimentare un po’ le cose impedendo la fuga al nostro eroe maledetto. L’area di combattimento viene infatti delimitata da due barriere energetiche destinate a scomparire non appena l’intera orda di nemici è stata debellata: abbattere un avversario, di norma, non costerà ad Aarbron più di un colpo ben assestato, ma vuoi per il numero di mostriciattoli da debellare, vuoi per l’insistenza dei relativi attacchi, sarà necessario prestare un pizzico di attenzione senza cedere alle lusinghe del button mashing sfrenato.

Shadow of the Beast è un ibrido di combattimento, esplorazione e di risoluzione di enigmi logici ambientali incentrati sull’utilizzo di portali per il teletrasporto e di giochi di luce/ombra

Il combat system di Shadow of the Beast, sulla carta, offre un potenziale interessante al giocatore. Aarbron potrà effettuare un colpo standard sulla carcassa del malcapitato di turno, stordirlo o scagliarne il corpo contro un secondo nemico, stordendolo a propria volta. Per ciascun nemico sbudellato (e, vale la pena sottolineare, il titolo non lesina decapitazioni, arti mutilati o altre quisquilie rigorosamente gore) Aarbron guadagnerà un piccolo quantitativo di Sangue, che andrà a riempire un’apposita barra di tre tacche nella parte inferiore dello schermo. Una volta riempita, basterà premere i dorsali R1 e L1 per scatenare la Catena della Furia, una modalità “rage” a Quick Time Events dove, in sostanza, dovremo premere il tasto quadrato e la direzione dell’attacco al momento esatto per annientare il nostro avversario e, allo stesso tempo, guadagnare un quantitativo di punti maggiore. Uccisioni a catena o ricorso a mosse speciali, che consumano una tacca di sangue ma permettono di recuperare una o più unità di energia o di compiere un’esecuzione tanto truce quanto proficua in termini “economici”, permettono di mantenere alti i moltiplicatori di punteggio, che uniti allo stile del nostro combattimento e al numero di colpi subiti durante l’attacco dell’orda determinano il punti e grado di ciascuna sfida disponibile.

Maggiore il punteggio, maggiore il nostro posizionamento nelle classifiche mondiali: il tutto senza dimenticare la presenza di incontri “speciali”, che se conclusi con una medaglia “di platino” permetteranno ad Aarbron di sbloccare ulteriori scontri segreti di difficoltà crescente o di mettere mani ad Elisircapaci di ingannare la morte“, grazie ai quali resuscitare nei rari casi di prematuro game over. Pugni e mutilazioni come se piovesse? Beh, non proprio. Se il playthrough a livello facile non merita nemmeno menzione, già nelle fasi conclusive di quello normale sarà necessario aver appreso a dovere il concetto di parata. Parare in modo corretto non solo ci permetterà di salvaguardare gli esigui punti vita in nostro possesso, ma di aprire un varco devastante contro l’avversario e di innalzare vertiginosamente il moltiplicatore di punti.

shadow of the beast boss

Messa così, la ricetta di Shadow of the Beast non sembrerebbe male: l’aggiunta di alcune abilità speciali, come la possibilità di far comparire spuntoni dal terreno con cui infilzare i nemici, o la presenza di boss fight con creature tanto enormi quanto accattivanti, lascerebbero presagire un futuro roseo per lo sfortunato Aarbron. Futuro che si realizza soltanto in parte, laddove l’esperienza di gioco a difficoltà Standard finisce per scivolare via rapidamente senza acuti memorabili e, cosa più triste, diluendo in modo evidente il combat design del titolo. La resistenza offerta dai nemici aumenta, questo è assodato, ma aumentano di pari passo (se non in modo maggiore) le abilità del nostro protagonista, amplificabili in modo forse troppo esagerato tramite un apposito skill tree. Investendo parte dei punti guadagnati negli scontri sarà possibile aumentare l’energia massima di Aarbron, la quantità di sangue guadagnato con ogni uccisione, la potenza dei suoi attacchi, la durata dello stordimento o addirittura la quantità di punti vita recuperati col sacrificio di una creatura nemica (fino ad un massimo di tre punti). L’idea di expare il PG è senza dubbio lodevole, ma non serve un impegno esagerato per ritrovarsi con una macchina da guerra pressoché imbattibile, ulteriormente potenziabile di lì a breve qualora dovesse insorgere una sfida leggermente più ostica.

Risultato, passato lo charme iniziale i combattimenti tendono ad essere ripetitivi e prevedibili, destinati a concludersi in tempi rapidi e, in talune circostanze, a fungere quasi da intermezzo nell’esplorazione dello scenario alla ricerca di Rune segrete (equipaggiabili all’inizio di ciascun livello per godere di un perk permanente) o altri collezionabili. Discorso diverso nella modalità Bestia, sbloccabile una volta terminato il primo playthrough e, in sostanza, affine ad una sorta di New Game Plus a difficoltà maggiorata. Nulla di ancora paragonabile al sadismo del titolo originale, ma senza dubbio un banco di prova più impegnativo dove, chi gioca, sarà costretto a fare i conti con parate, schivate e scarsità di punti vita per proseguire sino allo scontro finale.

L’esperienza di gioco a difficoltà Standard finisce per scivolare via rapidamente senza acuti memorabili e, cosa più triste, diluendo il combat design del titolo

Shadow of the Beast, accennavamo prima, offre al giocatore una componente multiplayer articolata su una doppia struttura: da un lato, la citata presenza di classifiche per ciascun livello, dove ogni prestazione verrà confrontata con quella di qualsiasi altro giocatore. Dall’altro, più interessante, la presenza di una componente asincrona già osservata nelle produzioni From Software, ma sfruttata con intelligenza dai ragazzi di Heavy Spectrum: se connessi alla rete, ci basterà rintracciare la zona in cui un altro giocatore è morto per decidere se donargli un Elisir o, al contrario, ammucchiare qualche punticino in più (e mettere in saccoccia un paio di oggetti utili) sbranandone selvaggiamente il cadavere. Questa seconda opzione, nettamente più divertente, è un QTE articolato in quattro velocissime sezioni, in concomitanza delle quali strapperemo dallo sfortunato corpo le più disparate membra: l’obiettivo è finire il pranzo nel minor tempo possibile, facendo arrivare il nostro risultato a chi di dovere e spingendolo a fare meglio di noi.

Da un punto di vista tecnico, l’aggettivo migliore per definire Shadow of the Beast è altalenante. Lo è nella realizzazione dei modelli, che nonostante un character design sontuoso (un bestiario del fantasy medievale) alternano un protagonista e una serie di boss dettagliatissimi e carismatici a nemici “standard” meno ispirati e convincenti, pur vari in quanto a tipologia. Lo è nel level design, che offre delle esterne evocative e quantomai azzeccate nel contesto narrativo del titolo a location interne spoglie e fredde, dove sembra mancare quel guizzo regalato ogniqualvolta la telecamera allarga e fa vedere un po’ di mondo attorno a noi. Trattandosi di un titolo ai limiti dell’indie, disponibile a meno di 15€ su PSN, la qualità complessiva è abbondantemente sopra la media: un pizzico di attenzione e di rifinitura aggiuntiva, probabilmente, avrebbe reso Shadow of the Beast inappellabile, laddove animazioni e fluidità non vengono meno un solo istante anche nelle situazioni più affollate. Non che ce ne siano così tante, ad onor del vero, nelle quattro ore o poco più di avventura che vi attendono nei panni di Aarbon: ma vogliamo chiudere un occhio per questa volta, sottolineando come parte delle lacune venga abbondantemente sopperita dalla quantità di materiale autoreferenziale (i bulbi oculari svolazzanti, l’albero che funge da portale dimensionale o le enormi mani scheletriche nel cimitero) presente nel titolo. E per chi nel 1989 era un piccola Bestia in cerca di vendetta, tutto sommato, non c’è di che esser delusi.

Conclusioni

Shadow of the Beast, in quel lontano 1989, non divenne così famoso per una serie di semplici coincidenze. Dalla narrazione al famigerato gameplay, dalla colonna sonora indimenticabile allo stile grafico tanto peculiare da diventare fonte di ispirazione per numerose produzioni a venire, il titolo di Psygnosis finì per irretire un’intera generazione, quella Amiga, e divenire un titolo di culto di cui in molti, a quasi tre decenni di distanza, ricordano la bellezza. Non sorprende dunque l’ingresso in scena di Heavy Spectrum Entertainment Labs, giovane team con sede in Gran Bretagna mosso dal desiderio di rendere il giusto omaggio ad una pietra miliare del fantasy. Non un semplice remake, tuttavia, forte della potenza di calcolo di PlayStation 4: una reinterpretazione, piuttosto, figlia del desiderio di creare un’avventura che non lesina le citazioni del passato ma, allo stesso tempo, volenterosa nello stabilire una propria identità definita.

Shadow of the Beast su PlayStation 4, alla fine della fiera, riesce solo in parte in questo nobile intento. Se nulla possiamo dire sulla narrazione, presa paro paro dalla controparte originale, possiamo solo plaudere alla direzione artistica del titolo, ispirata e convincente dall’inizio alla fine nonostante alcune leggere incertezze. Incertezze marginali, per certi versi, di fronte ai veri crucci che affliggono questo operato: una longevità particolarmente scarna, nonostante un valore di rigiocabilità non certo trascurabile (ma, a parte upgrade nello skill tree e eventuali Rune perse alla prima run, difficilmente foriero di novità così sensibili), e un gameplay avvincente sulla carta ma ripetitivo e alla lunga privo di mordente minano irrimediabilmente il giudizio complessivo, sicuramente sopra la sufficienza ma con una nota di retrogusto amaro in bocca. Shadow of the Beast su PS4, un po’ a malincuore, finisce nell’ombra del proprio modello ispiratore: ci può stare, e chi ha superato la soglia dei 30 anni sa benissimo in cuor proprio i motivi di questa constatazione. Resta comunque un’avventura breve ma intensa, assaggio di un’era in cui il fantasy medievale aveva ancora molte cose da dire: non è la Bestia che in molti ricordavamo, ma pur senza qualche pelo, il vizio è rimasto.

 

Good

  • Direzione artistica accattivante
  • Sistema di combo ben congegnato
  • Buona narrazione fantasy dal sapore di una volta

Bad

  • Longevità troppo risicata
  • Coefficiente di difficoltà troppo morbido a livello Normale
  • Combat system buono sulla carta, ma ripetitivo e poco incisivo
7

Niente male

Bello, simpatico, intelligente e super esperto di videogiochi, ha sviluppato un'incredibile capacità nello scrivere cazzate.. Gioca ai giochini elettronici dall'86 e ci scrive a riguardo dal 2006 o giù di lì.. Ma non fateglielo notare, che poi si monta la testa..

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