Far Cry 6 – Recensione

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Guerriglieri una volta, guerriglieri per sempre

Far Cry 6
Far Cry 6 – Recensione

Far Cry 6 porta i giocatori nel cuore di una moderna rivoluzione nell’isola di Yara, un paradiso tropicale dove il tempo sembra essersi fermato. I giocatori potranno impersonare la versione maschile o femminile di Dani Rojas, un abitante locale di Yara che viene coinvolto nella rivoluzione contro Anton Castillo.

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Yara è un arcipelago fittizio, rimasto tagliato fuori dal mondo per quarantasette anni. Fino a quando El Presidente, Antón Castillo, ha preso le redini del paese per ripristinare il cosiddetto “paradiso”: come dice lui stesso, interpretato da un sempre magistrale Giancarlo Esposito, “non sono qui per fare quello che è giusto ma ciò che è necessario“.

Questo si traduce in una prevedibile quanto brutale dittatura, sotto la quale gli abitanti sono costretti alla coltivazione del Viviro che, a quanto pare, risulta essere una cura contro il cancro. Una scoperta che pone Castillo in una posizione di forza, non solo all’interno di Yara ma anche al di fuori, poiché una scoperta del genere supera qualunque barriera politica. Il suo pugno di ferro viene in ogni caso contrastato dalla rivoluzione, nonostante ben poco possa contro la potenza di El Presidente.

La o il protagonista, Dani Rojas, è fra coloro che vuole abbandonare Yara per una vita migliore in quel degli Stati Uniti: sfuggita di misura a un raid delle forze armate di Castillo, riesce a salire sulla barca che dovrebbe portarla verso la salvezza ma le cose non vanno come previsto e Dani si riprende, dopo un naufragio, sulla spiaggia dove Clara García, la famosa guerrigliera, ha posto il suo campo base.

Non ci sono molte scelte per Dani se non fare un patto con lei, accettando di aiutarla nella rivoluzione in cambio di soldi e un passaggio sicuro per gli Stati Uniti. Queste sono le premesse narrative di Far Cry 6, che si apre di fronte a noi con uno scenario interessante e un antagonista che sembra voler rimanere allineato su quella memorabilità che ha contraddistinto i precedenti – almeno a partire dal folle Vaas in Far Cry 3.

Far Cry 6

Rivoluzione, dunque. Né più, né meno. Niente di nuovo, se non per il fatto che Rojas ha una storia questa volta ed è effettivamente coinvolta – noi abbiamo scelto la versione femminile – nelle vicende. Vive a Yara e vuole andarsene, lasciarsi alle spalle la crudeltà di Castillo per ricostruirsi una nuova vita: non può e dunque si vede costretta a imbracciare le armi affinché il dittatore sia abbattuto.

Supportata da diversi personaggi nel corso della storia, Dani imparerà che guerrigliero una volta, guerrigliero per sempre: passo dopo passo andremo a minare il potere del presidente, colpendo rapidi e violenti là dove possiamo far male. L’arco narrativo, come appena scritto, non è originale ma una buona storia per essere tale non deve per forza sapere di mai visto (anche perché è molto difficile sia possibile, ora come ora), bensì essere raccontata bene.

In questo Far Cry 6 riesce a nostro avviso sicuramente meglio dei predecessori, forte di una protagonista questa volta ben definita, tanto nell’aspetto quanto nella caratterizzazione: l’eroe muto ha ormai fatto il suo tempo e seppur agli inizi, parecchi anni fa, poteva essere un discreto veicolo all’immedesimazione (o semplicemente un vantaggio nella produzione e nei relativi costi), è tempo di mandarlo in pensione. Quando si vuole porre l’enfasi anche sulla storia, occorre che tutte le sue parti siano ben definite a cominciare dal personaggio principale. Premiamo dunque la scelta di introdurre Dani e offrircela già plasmata, con un percorso che evolverà di pari passo con la narrazione.

Far Cry 6 si presenta narrativamente migliore dei precedenti

C’è poi la controparte, il lato oscuro di Yara. Antón Castillo, modellato su e interpretato da Giancarlo Esposito. La sua è una figura molto stereotipata, un dittatore classico che compie azioni di cui non ci stupiamo sebbene la loro brutalità lasci comunque il segno. Di nuovo, non è originale ma in questo caso è proprio qui che sta il suo fascino, nel “banale”. Non serve cercare guizzi o tratti particolarmente distintivi, perché Castillo è un uomo pratico e come tale ci viene restituito.

Vaas, Pagan Min e Joseph Seed erano personaggi sopra le righe, così come il contesto dei rispettivi Far Cry, andando di conseguenza a domandare un personaggio che stesse al passo – pronto a stravaganze e colpi di coda. Yara, invece, è così tanto riconducibile a 1nelle sue dinamiche, così tanto aggrappata al reale, che Castillo deve essere proprio quello stereotipo di dittatore: possiede la pratica efficienza di chi deve far funzionare un sistema, nient’altro, e tanto basta a rendere l’antagonista di Far Cry 6 interessante in una normalità che a un primo sguardo potrebbe sapere di già visto.

La sua stessa parabola narrativa traccia un percorso familiare ma, grazie anche all’interpretazione di Esposito, sempre convincente. Lo ripetiamo, Antón Castillo non è un personaggio originale o stravagante, non aspettatevi nessuno dei tre antagonisti precedenti; nella sua praticità risiede tutta la forza, e l’orrore, che trasmette. Ci viene presentato a spizzichi e bocconi, con filmati che in genere sono a seguire una delle imprese della rivoluzione, per accompagnarci tanto nella sua personalità quanto nel percorso di crescita del figlio Diego che dovrà ereditarne il ruolo.

C’è una potenza, in queste brevi parti, che riesce a essere veicolata proprio perché al gioco non serve mostrarcelo sempre. Sappiamo che Castillo è onnipresente in ogni angolo di Yara, tutto quello che succede ha il suo riflesso e la sua voce; per questo vederlo apparire occasionalmente funziona tanto bene. L’unico rimpianto, nei suoi riguardi, è che avremmo voluto approfondire di più il rapporto con Diego e in generale il personaggio del figlio nel percorso per diventare il futuro presidente, a maggior ragione di fronte al rifiuto che questi sembra provare verso un simile destino.

Far Cry 6 Rainbow Six Quarantine

A fare da corollario alla vicenda troviamo altri personaggi, sia dal lato dei guerriglieri sia da quello di Castillo. In quest’ultimo caso ci sono alti e bassi, non tutti sono efficientemente scritti ma si trova sempre qualcosa per cui spiccano, fosse la violenza estrema o altri aspetti più sottili che vengono posti a mano a mano. Non sono un capolavoro di scrittura, le fila nemiche, tuttavia riescono a restituire un buon quadro della situazione politica e non.

Viceversa, i guerriglieri, con cui Dani passa molto tempo svolgendo incarichi in crescendo che la porteranno al conflitto finale con chi governa una particolare regione, sono ben caratterizzati e ciascuno presenta dialoghi e scene interessanti. La diversità tra i gruppi stessi, i conflitti persino che nascono, mettono in risalto una nazione dove sì, di fondo c’è un’idea comune, ma in cui la coesione inesistente tra le varie parti è proprio ciò che impedisce a Yara di risollevarsi davvero. Dani, in questo, è il collante e il filo conduttore delle vicende. Passo dopo passo, pur lavorando per Clara, ottiene il rispetto di queste fazioni e diventa involontariamente l’icona di una rivoluzione che solo grazie al suo intervento può imboccare la strada giusta per cercare di detronizzare Castillo.

Trama e gameplay si legano molto meglio di quanto pensassimo, agevolando la progressione senza farla ristagnare

In termini di gameplay, passando ora al succo di Far Cry 6, significa quello a cui questa serie ma non solo ci ha abituato: una mappa estesa, divisa in regioni da conquistare eliminando il governatore di turno e costellata da punti di interesse di varia natura. Una familiarità che non guasta, nella sua ripetitività, soprattutto perché in questo caso non ci siamo sentiti obbligati a sbloccare ogni parte di Yara per procedere ma, cosa ancora più importante, non ne abbiamo sentito il bisogno.

Avete presente la tentazione di andare a controllare proprio quell’icona laggiù e poi perché no, già che ci siamo, anche quella poco più in là e via dicendo finché si perde di vista il filo conduttore della trama ritrovandosi a vagare senza un vero scopo? Bene, in Far Cry 6 non c’è stata questa “necessità”. È stato strano, avere una mappa a disposizione e non interessarcene, non perché i contenuti non fossero potenzialmente validi bensì perché la narrazione ci ha tenuto lì e ci ha calato a tal punto nei panni del guerrigliero da non farci andare oltre il necessario.

Se un posto di blocco, una base militare o una postazione antiaerea erano in mezzo e conquistarle avrebbe agevolato la progressione, allora ci prendevamo del tempo per guadagnare un vantaggio tattico, altrimenti lo ignoravamo. Questo, nell’ottica di produzioni Ubisoft che ci hanno tristemente abituato al “tanto è meglio”, svuotando l’esperienza per trasformarla in un vagare senza scopo perdendo di vista la narrazione, ci ha favorevolmente sorpreso: vi parliamo da completisti, da quelli che non possono lasciare un angolo di mappa coperto perché diventa quasi una sofferenza fisica. Questa necessità non si è presentata e solo in un paio di occasioni siamo stati incuriositi dalle storie yarane, ovvero missioni secondarie in cui si offre aiuto agli abitanti del luogo con un piccolo contesto narrativo attorno.

Questa costruzione della progressione più agevole e meno soffocata dalle miriadi di cose da fare (che, di nuovo, ci sono ma non si impongono su di noi) ha fatto sì che l’intera esperienza con Far Cry 6 durasse attorno alle venticinque ore. La durata perfetta, al termine della quale siamo stati liberi di dedicarci al resto e alle nuove fasi di insurrezione – un contenuto endgame che ci invita a cercare di preservare il nuovo equilibrio di Yara, evitando che le forze del regime tornino al potere.

Naturalmente non possiamo parlare a favore di tutti, ci sarà di certo chi vorrà sbloccare ogni angolo subito ma in questo caso il ruolo chiave lo gioca la narrazione: se, per esempio, in Assassin’s Creed Valhalla era inutilmente ed eccessivamente prolissa, qua si fa quasi fin troppo sbrigativa e soprattutto ha una costruzione convincente, nei suoi colpi di scena e nella caratterizzazione di alcuni personaggi, da spingerci ad ascoltarla e non farla diventare un’eco destinata a perdersi nel mare di attività secondarie.

Far Cry 6

Per quanto riguarda il personaggio in sé, a differenza di Far Cry 5 sono state tolte le abilità a favore di una costruzione legata al tipo di equipaggiamento indossato: ciascun elemento presenta bonus diversi, alcuni legati alla resistenza, altri all’efficienza di Dani in determinati aspetti (ad esempio, disinnescare allarmi). Sia i vestiti sia l’armamentario sono divisi per gradi ma solo le armi possono essere modificate per renderle più efficienti, a patto di avere i giusti materiali, e anche qui non vale per tutte: esistono armi speciali da trovare in gioco, con le proprie dotazioni che non possono essere sostituite. Una sorta di prendere o lasciare che potrebbe tornare utile come no, dipende sempre dallo stile di gioco.

Esiste inoltre il cosiddetto Supremo, una sorta di zaino fai da te che rappresenta l’attacco speciale di Dani, caricato a suon di uccisioni o con il passare del tempo, e può essere equipaggiato di diversi tipi, come sempre in base alle necessità. Inoltre gli si possono installare fino a quattro diversi gadget, che spaziano dalle normali granate e coltelli a qualche chicca più raffinata per portare caos e scompiglio tra le file di Castillo. Chiunque sia preoccupato dal fatto che Far Cry 6 non presenti armi canoniche, stia tranquillo. Esistono anche quelle, molto sperimentali e bizzarre a vedersi, ma si può fare affidamento su quelle più classiche e modificarle a proprio piacimento.

Far Cry 6 fa dei passi avanti ma presenta ancora qualche mancanza ludica

Fino a qui non sembrano esserci problemi: narrativa molto buona, legata a una progressione coerente nonostante la vastità della mappa, arsenale vario e costruzione del personaggio legata all’equipaggiamento e non più ai cosiddetti Perks, cosa potrebbe andare storto? Il fatto che tutto questo enorme parco giochi messo a disposizione da Ubisoft è tanto bello quanto inutile.

Parecchi gingilli con cui sperimentare ma, alla fine, ci si affeziona a quelle tre armi, ai gadget e a un Supremo e si portano avanti fino alla fine del gioco, fosse anche perché non ci sono momenti in cui si sente davvero la necessità di variare sul tema. Noi abbiamo scelto un fucile di precisione, un mitra, una pistola, il primo Supremo che ci viene dato nel gioco e, con le dovute modifiche in corso d’opera quando abbiamo trovato modelli più efficaci, non abbiamo mai cambiato armamentario o anche solo provato nuove mod – il tutto alla difficoltà più alta.

Insomma, una forte enfasi sulla personalizzazione che tuttavia, alla fine, non è davvero necessaria in termini prettamente ludici. Questo cozza con l’esperienza complessiva, perché la stravaganza ludica cui Far Cry ci ha generalmente abituato qui non trova terreno fertile: o meglio, lo trova ma più nella figura degli Amigos che non dell’equipaggiamento di per sé. Gli Amigos sono animali con i quali Dani farà amicizia e la accompagneranno nel corso dell’avventura, nulla di nuovo per chi conosce la serie.

Ciò non toglie che rasentino l’assurdo e proprio per questo siano bellissimi, a partire dall’alligatore Guapo, passando per il bassotto disabile Chorizo fino al violentissimo gallo Chichàrron: ognuno di loro, assieme ad altri che non vi riveleremo, può essere migliorato facendogli apprendere tre abilità per sbloccare le quali serve che compia determinate azioni – riprendendo un po’ il discorso dei Perk e delle relative sfide di Far Cry 5. Salvo Guapo, che ci viene dato di default per introdurre la meccanica, gli altri Amigos vanno trovato e sbloccati completando le rispettive storie.

Se sotto diversi aspetti dunque Far Cry 6 snellisce o agevola l’esperienza, in questo senso è proprio quel parco giochi pieno di troppo ma utile a poco niente che si è visto in altri giochi. Abbiamo apprezzato la rimozione delle abilità per un focus più mirato sull’equipaggiamento, inteso nello specifico come il vestiario, ma per quanto riguarda gli armamenti c’è fin troppo e, soprattutto nelle mod, la varietà finisce col non servire a granché perché basta installare quelle giuste per proseguire senza intoppi fino alla fine. Non siamo, alla fin fine, spinti a sperimentare, quindi ci si sedimenta su determinate cose lasciando perdere le tante, troppe altre.

Far Cry 6

Troviamo personalmente più grave il fatto che, pur essendo il gioco molto violento sia nei filmati sia nel giocato in sé (ad esempio le uccisioni silenziose con il machete), guardando ai cadaveri questi siano del tutto immacolati. Non importa se fino a un attimo prima li abbiamo riempiti di piombo, sgozzati o fatti saltare per aria, non si troverà una singola goccia di sangue sul corpo, o per terra attorno a esso, così come non saranno presenti ferite sul cadavere; per non parlare del fatto che in caso di esplosioni restino intatti. Valhalla ci ha mostrato un buon livello di brutalità visiva e magari senza pretendere lo stesso da Far Cry 6, non avremmo nemmeno voluto passare dall’altro lato e trovarci di fronte a pupazzi che non presentano alcun segno della battaglia.

È qualcosa cui ci si abitua, a lungo andare, nondimeno provoca uno scollamento evidente, quella cosiddetta dissonanza ludonarrativa che non si esprime solo attraverso un contrasto tra la caratterizzazione di un personaggio e le sue azioni in gioco. In questo caso, la violenza insita nei gesti o nei video non trova riscontro in partita, lasciandoci perplessi quanto basta da distaccarci. Far Cry non è certo quel gioco che umanizza i nemici, al di là degli antagonisti di spessore, quindi non ci aspettavamo una resa in tal senso ma, privandoli anche di quel poco che li potrebbe rendere umani virtuali, non fa altro che trasformarli in bersagli ambulanti di fronte ai quali ci chiediamo solo quale sia il proiettile migliore da usare.

Detto questo, ritorna l’annoso problema di una intelligenza artificiale ballerina, che a volte, tatticamente parlando, fa cose sensate si dal lato nemico sia da quello alleato – come risollevarci in battaglia in caso di k.o., eventualità possibile solo se ci sono alleati coinvolti nel combattimento. Non funziona proprio al 100% ma è comunque una chance in più da non buttare via.

Altre invece, soprattutto durante il normale corso dell’esplorazione, la IA è così erratica da complicare inutilmente alcune situazioni. Per fare un esempio a caso, capitano spesso incidenti perché dall’altra corsia un guidatore decide all’improvviso di evitare la nostra inesistente minaccia sterzando e invadendo la nostra corsia, cogliendoci impreparati e finendo con un bel frontale. Peggio è quando questo lo fanno i soldati, che poi se la prendono con noi e parte lo scontro a fuoco.

L’intelligenza artificiale in Far Cry 6 è ancora da rifinire

Chiudiamo questa lunga disamina con alcune note più tecniche. Graficamente parlando, Far Cry 6 presenta un’espressività dei personaggi altalenante, che può sicuramente  essere migliorata ma, come molti altri giochi, è probabile vedere il vero balzo in avanti con titolo solo next gen. Complessivamente però si lascia godere e Yara offre scorci mozzafiato che vale la pena immortalare. Il gioco mira ai 60fps, senza averli mai davvero stabili, ed è capitato durante alcuni filmati un drop netto. Nel gameplay invece non si è mai percepita questa differenza evidente, segno che tutto sommato regge bene.

Il DualSense non l’abbiamo trovato troppo implementato ma quello che fa lo fa bene. I grilletti adattivi rispondono al tipo di arma che imbracciamo e al veicolo che guidiamo, presentando più resistenza in base al peso e alla dimensione degli stessi; inoltre, quando l’arma è scarica, abbiamo molto apprezzato il leggero dislivello che si percepisce sotto il dito quando si prova a premere il grilletto. Un clic che si sente fisicamente. Nulla per cui stracciarsi le vesti, però rimane un dettaglio gradevole.

Menzione speciale infine per il doppiaggio inglese, fortemente accentato per rendere l’idea di persone non madrelingua che lo parlano e al quale alternano fluidamente lo spagnolo. Far Cry 6 non è doppiato in italiano (la localizzazione c’è, tranquilli) ma anche se lo fosse stato vi avremmo comunque suggerito l’inglese. Giancarlo Esposito da solo è una ragione sufficiente e va comunque riconosciuto che tutto il cast ha fatto un ottimo lavoro. Un apprezzamento anche per la colonna sonora, che ci ha fornito un vasto repertorio di canzoni che qui definiremmo estive, tra le quali un immancabile Ricky Martin con la sua Livin’ la Vida Loca: ora immaginate di andare in giro in auto con questa canzone e portare caos in un posto di blocco.


Conclusioni

Far Cry 6 è un titolo difficile da giudicare. Fa alcuni passi avanti ma resta fermo su altri aspetti, o addirittura si muove leggermente indietro, rendendo complicato concretizzare una valutazione persino a fronte delle ottime impressioni avute soprattutto dalla trama. Per certo non andrà a scontentare i fan della saga, con la sua struttura familiare e per certi versi alleggerita, così come non deluderà chi pur in uno scenario più concreto e plausibile come quello dittatoriale cerca la follia, nel gampelay, che ha distinto i capitoli precedenti.

Noi ci siamo divertiti, nella nostra personale rivoluzione, per la prima volta non abbiamo sentito il peso di una mappa estesa e delle sue numerose attività, ed è forse questo l’importante: che nonostante su alcuni punti abbia ancora da lavorare, Far Cry 6 non perde smalto né teme confronti con il passato, uscendone anzi a testa alta lato storia e protagonista. Ci sono alcune mancanze ludiche che si sarebbero potute aggiustare, tuttavia nel complesso si presenza un titolo piacevole e la cui durata non risulta eccessiva.

Far Cry 6 è acquistabile da GameStop Italia.

Good

  • Finalmente una protagonista ben definita
  • Gli Amigos sono adorabili e sempre all'eccesso
  • La trama regge e non risulta inutilmente prolissa
  • Il gameplay è nel complesso soddisfacente e divertente

Bad

  • L'intelligenza artificiale può ancora essere rivista
  • Le numerose possibilità di personalizzazione sono inutili
  • Mancano, sui corpi nemici, effetti che provino lo scontro
8

Imperdibile

Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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