Dragon’s Dogma: Dark Arisen – Recensione Switch

Portable Arisen

Dragon’s Dogma: Dark Arisen – Recensione Switch
Dragon’s Dogma: Dark Arisen – Recensione Switch
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Dragon’s Dogma non ha di certo bisogno di presentazioni: nato su Xbox 360 e PS3 nel lontano 2012, ha vissuto sulla sua pelle vari porting e riedizioni, tornando nel 2013 con una nuova versione, Dark Arisen. Questa espandeva la già ricca avventura base con un tostissimo dungeon end-game, Nerabisso, accessibile dal villaggio iniziale, Cassardis (ma conviene tornare più in là… molto più in là), e con tutta una serie di migliorie, tecniche e contenutistiche, al punto da spingere Capcom a riproporla come una sorta di versione 1.5 del gioco originale, e non come un semplice DLC.

Con questa nuova veste il gioco è tornato prima su PC e successivamente anche su PS4 e Xbox One. Se nel 2019 siamo ancora qui a parlarne è perché, ed è facilmente intuibile, è uno dei tanti (troppi?) porting che stanno arrivando su Nintendo Switch.

Come di rado accade, però, questo porting ha ben più ragioni d’esistere di tanti altri esempi: in primis, la natura ibrida della console di Nintendo. Un vecchio action/GDR non solo è più abbordabile in termini di risorse per Switch, ma la possibilità di giocare ovunque parte delle oltre 35 ore (di sola main quest, pronte a raddoppiare – o persino triplicare – per i completisti più estremi) richieste per completarlo, è uno di quei fattori che chiunque con poco tempo a disposizione non può che tenere in considerazione.

Chi se lo è perso all’epoca, rassegnatosi all’idea di non potergli dedicare tutto quel tempo, ha ora quindi una più che valida occasione per vestire i panni dell’Arisen, sopravvissuto all’attacco di un imponente drago sulle coste del suo tranquillo villaggio, e per partire all’avventura tra i meandri di Gransys, affrontando una missione dopo l’altra per salvare il destino dell’umanità.

Come di rado accade, questo porting ha ben più ragioni d’esistere di tanti altri esempi: in primis, la natura ibrida della console di Nintendo

La struttura ludica è abbastanza classica, per chi non dovesse conoscere Dragon’s Dogma, fatta di tutta la classica gestione del personaggio tipica dei giochi di ruolo (equip, abilità, oggetti da raccogliere ecc) e di un combat system molto asciutto, con attacchi leggeri e pesanti, versioni potenziate degli stessi, ma anche magie e attacchi dalla distanza, in base alla classe selezionata all’inizio dell’avventura.

È però l’interazione con i nemici ad aver sempre affascinato una fanbase nutrita e fedele: dalla possibilità di arrampicarsi su quelli più grandi (e ne sono tanti, fidatevi), al pari del silenzioso protagonista di Shadow of the Colossus (con cui il nostro alter ego completamente personalizzabile condivide la scarsa loquacità), alla necessità di colpire punti specifici come code o teste per proseguire nello scontro o per indebolirli al punto da poter scagliare il colpo finale, il combat system richiede qualcosa di più del puro e semplice button mashing.

Anche i nemici comuni possono infatti rappresentare una sfida (con conseguente Game Over) se presi alla leggera, senza la minima preparazione (a proposito, un consiglio: salvate manualmente e molto spesso, non si sa mai, ndr), e conoscere le loro debolezze è un plus non indifferente: avere una spada infuocata può rivelarsi cruciale contro determinate tipologie di nemico, o persino l’avere nel party un personaggio femminile può scaturire effetti collaterali e reazioni da sfruttare a proprio vantaggio.

E parlando del party, uno degli elementi distintivi di Dragon’s Dogma sono sempre state le Pedine: sorta di entità vuote ma dall’aspetto umano, sono dei combattenti gestiti dall’I.A. da portare in squadra con sé (per un massimo di 4 membri, giocatore incluso) che migliorano affrontando uno scontro dopo l’altro, tanto con il giocatore quanto e soprattutto in compagnia di perfetti sconosciuti.

Nella Faglia, la dimensione parallela in cui potremo andare a nostro piacimento a fare “campagna acquisti”, potremo infatti condividere e scambiare con perfetti sconosciuti le pedine, ottenendo in cambio esperienza e oggetti, ma anche “conoscenza”, ben più di valore di qualsiasi altra cosa: una pedina navigata sa già in automatico come sfruttare al meglio le sue abilità in base al contesto, se ha già vissuto quell’esperienza; se è un mago e vede un Goblin, sa già di dover incantare con il fuoco la spada del suo Arisen guerriero; se i nemici stanno tendendo una trappola nei pressi di un accampamento, ci avvertirà della cosa, avendola già vissuta in un’altra partita.

La trovata delle Pedine sa ancora farsi apprezzare

Una trovata rivoluzionaria per l’epoca e poco recepita o sfruttata altrove, purtroppo, che sa ancora stupire e farsi apprezzare anche nel 2019, anche su Switch, dove è possibile usufruirne senza il bisogno di possedere un abbonamento a pagamento. Basta una connessione e si è pronti per scegliere la pedina dei propri sogni (ma se non potete connettervi, tranquilli, ne troverete anche offline).

Meno entusiasmante, inutile a dirlo, è il comparto puramente tecnico: i 7 anni sulle spalle si vedono, tra modelli poligonali per nulla esaltanti, e una certa legnosità tanto nelle animazioni quanto nei comandi, che richiedono un minimo di tempo per essere assimilati e padroneggiati. Gransys sa regalare scorci indubbiamente piacevoli, e in generale il medioevo fantasy immaginato da Capcom, pur non brillando per originalità, sa farsi certamente apprezzare, denotando tutta la volontà di conquistare con ogni mezzo anche il pubblico Occidentale di quell’epoca, ancora estasiato dai vari Skyrim e Dragon Age.

Conclusioni

Ha ancora senso giocare Dragon’s Dogma: Dark Arisen nel 2019? La risposta non potrebbe essere positiva per tutti, ma una cosa è certa: al netto di un palese invecchiamento di meccaniche e grafica, resta pur sempre uno sconfinato action/GDR dotato di intuizioni brillanti (dal combat system alle pedine) che rappresentano un più che valido motivo per recuperarlo, almeno per chi non ha avuto modo di giocarlo nelle sue numerose riedizioni.

Su Switch c’è il valore aggiunto, non indifferente, di potersi immergere nei meandri di Gransys letteralmente ovunque, rinunciando ancora di più alla pulizia grafica (e in qualche caso anche alla fluidità, seppur lievemente e sporadicamente, in versione handheld), ma compensando con l’opportunità di affrontare più di 35-40 ore senza colpo ferire (o quasi).

Se aspettavate l’occasione giusta per partire, questa versione fa al caso vostro, poco ma sicuro (complice anche il prezzo, 29,99 €).

Good

  • Il sistema delle Pedine è ancora una genialata
  • Il combat system sa regalare bei momenti
  • Longevo e ricco di missioni

Bad

  • Non è invecchiato benissimo
  • A volte è esageratamente punitivo
7.5

Niente male

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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