Assassin’s Creed Valhalla – Recensione

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Dalla gelida Norvegia alla più mite Inghilterra, ecco l'epopea vichinga di Eivor

Assassin’s Creed Valhalla
Assassin’s Creed Valhalla – Recensione

Assassin's Creed Valhalla si sposta nell'era vichinga nell'infinito conflitto tra assassini e templari. Sei Eivor, il tuo destino è diventare una leggenda tra i vichinghi. Compi razzie contro i tuoi nemici, espandi il tuo insediamento e accresci il tuo potere politico mentre esplori l'Inghilterra del medioevo.

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Assassin’s Creed Valhalla è l’ultimo capitolo della storica – in ogni senso – serie Ubisoft che racconta l’eterna lotta fra Assassini e Templari. Dopo le avventure di Kassandra, in un’Antica Grecia di forte impronta GdR (forse persino troppo), si è optato per un’altra ambientazione che va per la maggiore: quella norrena.

Il IX secolo dopo Cristo, per la precisione gli anni che vedono coinvolto Alfredo il Grande nella sua opposizione ai danesi, si fa dunque teatro delle nostre avventure che vedranno coinvolto il nordico Eivor: noi lo abbiamo scelto uomo, motivo per cui ne parleremo al maschile durante la recensione, ma il sesso può essere a completa discrezione e trattandosi dello stesso personaggio, a differenza della coppia Kassandra/Alexios, si può anche cambiare a piacimento durante la storia.

Alternativamente, possiamo lasciare libero arbitrio all’Animus ma la tendenza sarà quella di farci utilizzare Eivor donna, salvo alcune sequenze specifiche che non vi riveleremo causa spoiler. Fatte queste dovute premesse, imbarchiamoci in questo spaccato di vita ed epica norrena. Come si comporta Assassin’s Creed: Valhalla rispetto al precedente, ma soprattutto nell’economia di tutta la serie? Scopriamolo nella recensione.

Partiamo dai cambiamenti più evidenti, gli stessi che permettono al gioco di scorrere con meno pesantezza del tutto sommato piacevole e accattivante Odyssey: pur mantenendo la natura GdR verso cui ha virato a partire da Origins, Assassin’s Creed Valhalla alleggerisce di molto quei tratti eccessivamente ruolistici che rendevano le avventure in quell’Antica Grecia più difficili da digerire. Abbiamo quindi un sistema di combattimento più fluido, rapido, votato alla brutale violenza come ci si aspetta da un vichingo e molto attento a non lasciare protrarre gli scontri troppo a lungo come succedeva in precedenza.

Le abilità da utilizzare esistono ancora ma in sostituzione dei poteri divini di Kassandra la scelta è ricaduta su qualcosa di più realistico: d’altronde Eivor non possiede alcun manufatto magico, come invece era per lei, e basa il proprio approccio alla lotta con la tipica “cazzimma” norrena – se ci concedete l’espressione tutt’altro che nordica. La vera differenza, e per certi versi anche l’aspetto che concorre a rompere il gioco, è la presenza di un indicatore della resistenza sui nemici: portato a zero, permette di assestare un colpo stordente di inusitata potenza che molto spesso si rivela mortale per le unità più deboli.

Questo fa sì che molte battaglie si risolvano in tal modo, aspettando un attacco nemico per deviarlo e avere poi il malcapitato alla nostra mercé. Sebbene le “fatality” portino con loro quel retrogusto vichingo che non guasta, alla lunga gli scontri perdono di mordente, a maggior ragione le boss fight poiché una volta spezzata la resistenza il resto dello scontro si baserà su pattern prevedibili di schivate e colpi – concatenati o meno a seconda dell’arma impugnata.

Assassin’s Creed Valhalla alleggerisce di molto i tratti eccessivamente ruolistici di Odyssey

A proposito di armi, menzione speciale al fatto che il bottino in tal senso sia molto più limitato e non vi porti a una situazione diablo-like come in Odyssey, riducendo sensibilmente il numero a vostra disposizione e permettendovi di spaziare da una all’altra con maggior semplicità, qualora voleste trovare l’arma adatta a voi. Inoltre, per la prima volta è possibile equipaggiare due armi contemporaneamente, andando così ad ampliare il ventaglio di possibilità nonostante gli scontri, come detto, siano sul semplicistico andante.

Passando all’esplorazione, la Gran Bretagna e a maggior ragione la Norvegia del prologo sono paesaggi bucolico il primo e desolato il secondo, che offrono poco allo sguardo in termini di costruzioni memorabili ma, per compensare se non altro nelle lande inglesi, allo sguardo si mostra una profondità di campo che combinata con un gioco di luci e colori si presta perfettamente per foto mozzafiato. La sensazione che lascia vagare in queste terre è quella di respirare a pieni polmoni, immersi in una terra che ancora vanta zone inesplorate dall’uomo e ci restituisce l’incontaminata bellezza della natura.

Nel nostro peregrinare ci imbatteremo in numerosi segreti, com’è tipico di ogni Assassin’s Creed, ma la vera novità rispetto al passato è la gestione delle missioni secondarie, qui chiamate eventi storia: si tratta di brevissimi estratti, incontri fugaci in cui Eivor incapperà esplorando e la cui soluzione è nelle immediate vicinanze – laddove poi questa soluzione si rende necessaria. A volte bisogna solo scambiare due parole con qualcuno e trovarsi ad aver completato l’evento senza nemmeno essersi accorti di averlo iniziato.

Sebbene da un lato sia una scelta atta a svecchiare e alleggerire le missioni secondarie che hanno un po’ funestato i giochi precedenti, spesso la sensazione è di essere passati da un estremo all’altro, con interazioni brevi e banali che non lasciano nulla nella memoria del giocatore, diventando situazioni incidentali da rimuovere una volta concluse. L’idea di una progressione più naturale e meno imposta non filtra del tutto, perché nonostante tutto stiamo giocando e un minimo di coinvolgimento è sempre utile: in questi casi sembra invece di astrarsi dalla situazione attuale per entrare in un piccolo microcosmo dove accadono gli eventi più folli e disparati.

Assassin's Creed Valhalla

Da premiare invece i minigiochi delle bevute e delle canzonature: nel primo caso non si ottiene nulla se non un po’ di denaro e tanto, tanto svago; nel secondo invece si mette un po’ alla prova l’ingegno con delle vere e proprie gare di insulti per cui Monkey Island non potrebbe che essere orgoglioso. Ciascuno sfidante agisce in modo diverso e a diversi livelli di difficoltà, rendendo la sfida ancora più esilarante e coinvolgente. In questo senso, parti della cultura vichinga sono state introdotte in modo genuino per alleggerire l’atmosfera.

Per quanto riguarda la gestione del personaggio, è abbandonata la struttura a livelli in favore della potenza, che segue bene o male la stessa logica ma si dimostra più permissiva (anche troppo) e consente di plasmare un personaggio tanto variegato quanto fisso su determinati parametri: all’accumulo dei punti esperienza necessari si ottiene un punto talento e via così fino a raggiungere il cosiddetto cap, a seguito del quale subentrano le maestrie grazie alle quali focalizzarsi ancora di più su specifiche caratteristiche del personaggio. Rispetto al dispersivo e confusionario Odyssey è sicuramente un sistema di crescita più radicato e gestibile, segno di una maggiore consapevolezza nell’esperienza che si vuole offrire – ruolistica ma non focalizzata all’eccesso.

Infine, l’insediamento: parte fondamentale della nostra nuova vita in Gran Bretagna, deve essere fatto crescere a mano a mano costruendo gli edifici necessari ad avviare le conseguenti attività, ottenendo le risorse esplorando il mondo di gioco ma soprattutto compiendo razzie in luoghi specifici. Questa meccanica ha un certo fascino all’inizio ma dopo due o tre incursioni la sequenza si ripete sempre identica, cambia solo il luogo da depredare, lasciando scivolare questo aspetto in un’attività necessaria solo se si è davvero interessati a portare l’insediamento al massimo livello. Di per sé, incrementarne la grandezza e la fama porta a qualche piccolo vantaggio in combattimento, oltre ad alcune missioni extra, ma è un aspetto relativamente marginale nell’esperienza complessiva. Non parliamo di una vera e propria gestione, quanto del mettere gli edifici giusti in base alle vostre necessità e lasciare per ultimi quelli meno importanti. Funziona come un hub principale, in sostanza, dove riposare, migliorare le armi, fare acquisti eccetera eccetera.

La Gran Bretagna offre paesaggi sì bucolici ma ugualmente mozzafiato con i suoi colori

A grandi linee, e per certi versi in alcuni dettagli, Assassin’s Creed Valhalla svecchia molto il precedente e va a presentare un mondo di gioco gradevole da esplorare, accompagnato da un sistema di combattimento snellito e volto alla sperimentazione. A creare un grosso problema in questo enorme parco giochi made in Ubisoft è l’IA incredibilmente deficitaria: non nascondiamo che è tra i difetti peggiori del gioco, uno di quelli però che di conseguenza si trascinano dietro anche quanto di buono può essere stato fatto per i combattimenti.

Lo abbiamo testato a difficoltà massima (come gli assassinii e l’esplorazione) e, senza giri di parole, è deludente: al di là del danno maggiorato, ci troviamo di fronte a un’intelligenza artificiale pigra, prevedibile nei moveset e assolutamente fuori scala – in negativo – per la modalità in questione. Anche rimanendo fermi, ci si ritrova in un prolungato gioco di sguardi con il nemico fino a che non si decide ad attaccare per essere intercettato da una deviazione e ucciso senza il minimo impegno. Ci saremmo aspettati senza dubbio un’IA più aggressiva, di quelle che lasciano senza respiro e rendono l’opzione del combattimento a viso aperto una scelta da calcolare.

Perché se è vero che siamo vichinghi e la discrezione non passa per il nostro vocabolario, siamo pur sempre in un Assassin’s Creed ma non solo, siamo anche dotati di lama celata. Invece, l’assassinio o comunque mantenere un basso profilo è l’ultima decisione che vorremmo prendere. Per soddisfazione, forse, la si può provare ma in termini di tempi di esecuzione è decisamente più rapido affrontare di petto un’intera guarnigione. A morire in ogni caso saranno gli sventurati che capiteranno di fronte alla nostra lama, al nostro scudo o anche alle mani nude – questo perché è possibile deviare persino un’alabarda a mani nude, una scelta che ci ha fatto storcere un po’ il naso.

Tutto ciò non considerando l’ottusità complessiva dell’intelligenza artificiale, che molto spesso non si accorge della nostra presenza nemmeno quando uccidiamo con fragore un compagno di guardia messo letteralmente accanto. I tempi di reazione sono incredibilmente lenti, complice il mantello sotto cui possiamo nasconderci per cercare di passare inosservati: una soluzione di design che richiama i primissimi capitoli ma, come altri aspetti, serve quasi più da fumo negli occhi per compiacere gli appassionati storici della saga.

La potenziale malia di un sistema di combattimento alleggerito e degli assassinii vecchia scuola viene meno causa IA fin troppo deficitaria. Il senso di sfida si intravede, occasionale, negli scontri con i boss ma persino lì si tratta di pattern facilmente leggibili e che in un modo o nell’altro abbiamo riscontrato nei nemici minori. Questa incredibile semplicità dei combattimenti rende, come già sottolineato, la presenza delle meccaniche di assassinio piuttosto superflua e per un capitolo della serie Assassin’s Creed non è proprio un complimento: la scelta di ambientarlo nel contesto storico norreno potrebbe aver creato delle difficoltà di coesione tra due approcci che non potrebbero essere più distanti, soprattutto considerato di quale popolo stiamo parlando, e in più occasioni questo aspetto si sente una forzatura laddove dovrebbe essere il punto focale dell’esperienza.

L’esperienza complessiva è funestata da bug di varia natura, più o meno gravi

Per quanto riguarda la trama, in cui il legame tra Assassini e Antichi è marginale e abbozzato, preferiamo entrare più nel dettaglio in uno speciale ad hoc, che pubblicheremo nei prossimi giorni, così da discutere insieme a voi di cosa ci ha convinti e cosa meno. Chiudiamo quindi con una disamina sulla componente puramente tecnica.

A rendere l’esperienza un po’ più frustrante ci sono poi i bug di varia natura: da quelli più innocui come gli oggetti che fluttuano o si spostano in maniera bizzarra, ad altri più gravi come la corruzione di salvataggi o il freeze totale della partita che obbliga a riavviare il gioco. Ci sono poi missioni generalmente buggate per un motivo o l’altro, dialoghi (pochi) che si perdono per strada, icone che non scompaiono dalla mappa restando a infastidire il giocatore, autosalvataggi che si ricaricano in punti assurdi o nel bel mezzo di uno scontro – insomma, un insieme di difetti che forse singolarmente non possono infastidire, eccezion fatta per alcuni, ma nel complesso diventano un problema a tratti molto sentito persino su Xbox Series X dove l’abbiamo giocato.

A chiudere, il comparto grafico è di poco migliorato rispetto a Odyssey (è probabile vedere un nuovo engine con la generazione attuale di console) mentre le animazioni necessitano ancora di revisione affinché i personaggi risultino credibili nelle loro interazioni. Nel complesso, per essere completato non al 100% ma comprensivo di tutti gli Antichi e di una specifica sequenza narrativa utile a fare un minimo di luce nella storia Assassin’s Creed Valhalla, ci ha richiesto novanta ore; settanta circa di queste, tuttavia, sono relative alla narrazione principale poiché strettamente legata alle alleanze con la maggior parte dei territori.

La sensazione resta lo stesso quella di un’esperienza che procede a tentoni, appoggiandosi molto sull’entusiasmo di un’esperienza con protagonisti i vichinghi a sfavore di quello che dovrebbe essere l’argomento principale della serie: la storia di Lyla si conclude qui, non possiamo tuttavia ritenerci davvero soddisfatti di come è stato gestito il tutto.

Conclusioni

Assassin’s Creed Valhalla è un gioco che funziona in qualche aspetto, zoppicando molto invece nella visione corale; un’esperienza che lima tanti difetti e pesantezze del precedente Odyssey ma, a nostro avviso, fallisce nel presentare una trama coerente con il filone narrativo che muove la serie. Non fosse per le alleanze, dalla scrittura sempre brillante e interessante, quello di Eivor sarebbe un viaggio alla cieca dove gli Assassini e i Templari (o Antichi che dir si voglia) ricoprono un ruolo marginale e ininfluente. I pochi aspetti coerenti fanno da preludio a un nuovo ciclo narrativo che con un colpo di coda sembra voler spazzare via quanto scritto dall’inizio della saga anni fa, introducendo concetti che mal si sposano con la transmedialità della serie – e non neghiamo possa essere proprio questo uno dei suoi difetti, quello di raccontare offscreen dettagli vitali.

Nel complesso, Assassin’s Creed Valhalla può essere visto come un buon GdR sui vichinghi ma difficilmente ci riesce di inserirlo nel contesto più ampio della saga. Tanti elementi del passato si rivelano fumo negli occhi per gli appassionati storici, dal balzo della fede completamente decontestualizzato alla lama celata fino ad altri dettagli che preferiamo non approfondire in questa sede, facendo procedere la trama verso lidi imprevedibili e mal spiegati. A livello ludico abbiamo apprezzato alcune svolte e preferito che ad altre venisse dato più spazio, mentre altre ancora si mantengono bene o male sui livelli passati, ma rispetto alla narrazione ne esce molto più a testa alta.

Good

  • Sistema di combattimento snellito
  • Progressione del personaggio meno rigida
  • Le storie di alleanze sono scritte davvero bene

Bad

  • Intelligenza artificiale molto deficitaria
  • Le razzie diventano ripetitive molto in fretta
  • Bug più o meno gravi intaccano l'esperienza
  • Assassini e Antichi risultano fin troppo marginali
  • Storia principale senza mordente e confusionaria
7.7

Niente male

Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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