Devil May Cry 5 ci ha ricordato perché abbiamo tanto amato DmC

Il doveroso tributo al capitolo apocrifo della saga Capcom

Dmc Devil May Cry immagine in evidenza

Siamo certi che nella lingua tedesca esista una parola specifica, un termine che identifichi la genuina e spesso immotivata simpatia che si prova per chi è destinato a perdere, ad essere sconfitto, a capitolare miseramente contro un avversario evidentemente più forte, potente, meglio attrezzato. Quante volte ci è capitato, durante lo studio della storia a scuola, di parteggiare per aztechi e maya durante l’inarrestabile e violenta marcia dei Conquistadores? Quante per certe squadre di calcio africane durante un’edizione della Coppa del Mondo?

È un sentimento innato, in molti ma non in tutti, il punto d’incontro tra una fortissima empatia ed un mal celato desiderio di rivalsa, perché chiunque di noi, in fondo, ha un boss di fine livello che proprio non riesce a mandare al tappeto.

Sarà anche e soprattutto per questo che sin dalla sua presentazione abbiamo preso immediatamente in simpatia DmC: Devil May Cry, capitolo che ormai potremmo definire apocrifo, sviluppato dai talentuosissimi Ninja Theory, team che già all’epoca ci aveva regalato quella splendida perla, ampiamente sconosciuta dai più, che risponde al nome di Enslaved: Odyssey to the West.

L’eredità di DmC: Devil May Cry

Il trailer con cui il titolo si presentò al pubblico bastò a moltissimi per decretarne il prematuro fallimento, giudizio perentorio ed inscalfibile scaturito da un rapido sguardo, probabilmente fugace e dettato da innumerevoli pregiudizi, al design di un Dante ovviamente inedito, sicuramente ringiovanito, certamente incline ad assecondare specifici (e criticati) modi di apparire e vestire tanto in voga qualche anno addietro tra i giovani.

Dmc Devil May Cry screenshot

Con Devil May Cry 5, Capcom è tornata sui suoi passi sia sotto il profilo narrativo, recuperando la storyline lasciata in sospeso con il quarto capitolo regolare della saga, sia, soprattutto, per quanto concerne l’art design, ripresentando sulla scena il Dante classico, un po’ invecchiato come è giusto che fosse, chiamato all’ennesimo confronto con un demone che, senza eccedere con gli spoiler, demone lo è solo in parte.

La “quota” DmC: Devil May Cry, se così vogliamo definirla, nella recente produzione Capcom è tuttavia ravvisabile in due elementi ben specifici, uno prettamente estetico, l’altro indissolubilmente legato al gameplay.

La scomunica dei fan non è servita a cancellare il retaggio di un gioco che in certi ambiti surclassa il pur lodato e apprezzatissimo Devil May Cry 5.

Da una parte abbiamo il misterioso V, personaggio vagamente somigliante all’affascinante Adam Driver, che, con il suo capello lungo, con il suo paio di sandali e il libro sempre a portata di mano, sembra cavalcare l’onda di certe mode, un po’ radical chic un po’ metrosessuali, che rimandano a quel Dante-emo tanto detestato proprio per la sua sfacciataggine nello sfoggiare tendenze così mainstream e invise alla controcultura, che ormai controcultura più non è, promossa dai nerd. D’altra parte, i Devil Breaker di Nero, con la loro possibilità di arpionare i nemici e attirarli a sé, è una feature già vista ed efficacemente utilizzata da Ninja Theory

La scomunica dei fan, insomma, non è servita a cancellare completamente il retaggio di un gioco che, senza mezzi termini, in certi ambiti surclassa il pur lodato e apprezzatissimo Devil May Cry 5.

Non si può negare un’evidenza che diventa abbagliante quando si va a considerare, in primis, l’art design, tasto dolente per quanto concerne l’ultimo nato di casa Capcom, fulgido esempio dell’abilità degli artisti in forza a Ninja Theory quando si (ri)considera quanto fruito con Dmc: Devil May Cry.

Dmc Devil May Cry screenshot

La rivincita del giovane Dante

Laddove un convincente prologo, ambientato in una città, certo distrutta, ma scintillante e a modo suo ammaliante, lasciava presagire una pirotecnica discesa negli inferi, nella realtà dei fatti ci siamo tristemente scontrati con un pesantissimo riciclo di ambientazioni monocrome, per nulla originali.

Tutto il contrario del capitolo diseredato, che già dai titoli d’apertura metteva in mostra la sua scalpitante voglia di giocare con i topoi della serie, nonché con alcuni stilemi presi in prestito da altri media, grazie ad una regia quanto mai dinamica.

La martellante musica metal, un’effettistica esagerata e le rivoltanti creature che per prime ebbero l’ardire di sfidare il giovane Dante, ben più fantasiose degli sciami di formiche e mosche che abbiamo recentemente abbattuto, componevano un incipit esaltante, estasiante, in linea con le direttive e i capisaldi del brand.

Anche andando a memoria, sono molteplici le ambientazioni, trasmutate e deformate dalla dimensione infernale, di cui ancora conserviamo uno sbalordito ricordo, tanto più soppesando la varietà di scenari attraversati.

Da questo punto di vista, vale la pena fare un paragone anche in termini di level design. Nonostante non manchino sentieri nascosti e strade alternative in Devil May Cry 5, l’ultima parte dell’avventura eccede con la linearità, accontentandosi per lunghi tratti di propinarci una rigida sequela di arene e corridoi. Al contrario DmC: Devil May Cry si propose con una più corposa anima platform, abbondando con le sezioni che andavano affrontate affidandosi a salti millimetrici, feature che ulteriormente andava ad inspessire il gameplay, donandogli un pizzico di varietà in più.

Anche andando a memoria, sono molteplici le ambientazioni di cui ancora conserviamo uno sbalordito ricordo.

Il piccolo capolavoro incompreso di Ninja Theory gode tutt’ora della stima e dell’affetto dei pochi che lo giocarono realmente, indifferenti a certi pregiudizi, premiati da un art design visionario, nonché da un gameplay adrenalinico come mai.

Il gioco, lo ricordiamo, originariamente pubblicato su PlayStation 3 e Xbox 360, nel 2015 ha goduto di una riedizione in HD. Visto il recente rinvigorimento dell’amatissima saga di Capcom, potrebbe essere il momento ideale per un piccolo tuffo nel passato, per ripescare un’autentica perla giocata da pochi, capita da pochissimi.


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