Assassin’s Creed Origins: Desert Oath – Recensione

Un Assassin's Creed da leggere

Assassin’s Creed Origins: Desert Oath – Recensione

Assassin’s Creed Origins: Desert Oath è il nuovo romanzo della collana Assassin’s Creed che, passo passo grazie alla penna dello scrittore e appassionato di storia Oliver Bowden, ha seguito le gesta di tutti i vari protagonisti videoludici riproponendo in forma cartacea le loro vicende. Quest’ultimo volume si focalizza sulla giovinezza di Bayek di Siwa, l’uomo le cui gesta getteranno le fondamenta della futura Confraternita degli Assassini. La maggior parte delle scene sono descritte attraverso i pensieri e le azioni del ragazzo narrate in prima persona, mentre le parti che non lo riguardano direttamente coinvolgendo altri personaggi sono scritte sfruttando la terza persona. Assassin’s Creed Origins: Desert Oath è anche il primo romanzo nel quale Oliver Bowden si prende la libertà di raccontare una propria storia, a differenza dei precedenti dove si limitava a riproporre quanto già visto giocando alla controparte videoludica, e nonostante Bayek rimanga il focus narrativo è piacevole vedere una caratterizzazione maggiore anche di altri personaggi – soprattutto Aya. La stesura del romanzo è molto buona, lo stile molto letterale porta con sé qualche vantaggio in alcuni punti, ricreando situazioni e ambientazioni molto immersive grazie alla puntigliosità della scrittura; dall’altro lato, i combattimenti possono durare molte pagine facendo perdere il senso di urgenza del tutto. In più diverse parole utilizzate da Bayek risultano troppo complesse e forbite perché un antico egiziano possa conoscerle.

Anche dal punto di vista puramente narrativo, dunque, Assassin’s Creed: Origins potrebbe rappresentare finora il migliore esempio di dedizione da parte di Ubisoft nella ricostruzione del mondo e della realtà storica in questione: se avete giocato all’ultimo capitolo della serie, avrete sicuramente intuito come l’Antico Egitto abbia un feeling notevolmente diverso rispetto ai giochi precedenti. I personaggi si percepiscono come se abbiano un loro posto preciso, il mondo si piega al volere di Bayek senza tuttavia rompersi mai – presentandosi dunque come quel genere di narrazione a spirale che ha portato gli appassionati a tifare per Ezio Auditore, anziché per la piega più riflessiva e tendente all’introspezione di Connor in Assassin’s Creed 3.

 

Assassin’s Creed Origins: Desert Oath ha catturato quella stessa sensazione del gioco cui fa da prequel, rendendolo una lettura obbligata per chiunque voglia sapere di più su Bayek, oppure per chi voglia farsi catturare da un mondo antico costruito con cura, un Egitto fatto di miti, intrighi politici e ovviamente omicidi. Dopo un prologo che ci suggerisce il tenore della storia, il romanzo si apre con il giovane Bayek che apprende i suoi doveri come futuro Medjay, l’antico ordine militare egiziano che in futuro servirà da ispirazione per la Confraternita degli Assassini. Da qui, la narrazione si fa strada attraverso i momenti della vita di Bayek fino a quello che dovrebbe costituire l’inizio di Assassin’s Creed: Origins. Durante questo processo conosceremo e familiarizzeremo con le lotte interne di Bayek mentre cresce sotto il peso di un destino già scritto, la sua infatuazione per Aya e il mondo che ha contribuito a creare uno dei guerrieri più letali dell’Antico Egitto. Altri personaggi come Tuta e l’antagonista principale Bion sono eccezionalmente scritti, presentandosi a volte persino più convincenti del protagonista stesso che a differenza loro sta ancora cercando la propria strada. Bion in particolare rappresenterebbe un eccellente contraltare per il protagonista di un videogioco della serie.

La cosa più importante tuttavia è che Assassin’s Creed Origins: Desert Oath non si percepisce come un banale riempitivo. C’è un tangibile senso di crescita in Bayek mano a mano che il romanzo si sviluppa e ancora una volta non può mancare il parallelismo con Ezio e i motivi per cui è ancora tanto apprezzato – ovvero un processo di crescita, maturazione e invecchiamento che lo porteranno a commettere errori e poi imparare da essi per evitare di ripeterli e proteggere in questo modo le persone che ama. Bayek non raggiunge la presunzione di sentirsi un guerriero perfetto in nessuna parte del romanzo, anzi, le crescenti sofferenze di cui è preda sono sufficienti per farlo a volte sentire un completo inetto. È un genere di vulnerabilità che non si percepisce spesso nei videogiochi incentrati sul combattimento, i cui protagonisti sono spesso confidenti in loro stessi fino all’esagerazione, ed è una ventata di aria fresca assistere all’evoluzione di Bayek mentre si sviluppa pagina dopo pagina. Lo rende un personaggio di carta e sangue, fittizio ma al contempo molto vero.

Assassin’s Creed Origins: Desert Oath ha catturato quella stessa sensazione del gioco cui fa da prequel.

Detto questo, forse l’unico aspetto negativo del romanzo è la storia d’amore adolescenziale fra Bayek e Aya. Il gioco la ritrae come gestita abilmente, presentando ciascuna delle due parti come accattivante ma comunque indipendente l’una dall’altra. In Assassin’s Creed Origins: Desert Oath, Bayek è ossessionato da Aya fin dall’inizio e apparentemente non perde occasione di complimentarsi con lei ogni volta che la vede. Questo sarebbe stato un problema minore se la narrazione si fosse sviluppata sotto una prospettiva diversa ma essendo in prima persona crea una situazione per cui Bayek ha sempre la possibilità di fare qualche commento su Aya e raramente si lascia sfuggire l’occasione, diventando fin quasi stucchevole. Va però detto che è l’immaturità di Bayek e farla da padrona nel modo in cui percepisce Aya durante i primi capitoli del romanzo, quindi non è quel tipo di difetto che influisce troppo sulla stesura di un romanzo ben scritto.

Bayek ha un forte arco narrativo attraverso tutto il romanzo, un percorso che lo vede scegliere il destino da seguire, se affidandosi alla vecchia via dei Medjay oppure a un punto di vista del tutto nuovo sul mondo grazie ad Aya. È stato interessante vedere come abbia acquisito le proprie abilità, che non derivano tutte dagli insegnamenti del padre il quale, anzi, è il più restio ad allenarlo per la via del guerriero. Sappiamo che a un certo punto Bayek prende l’abitudine di spostarsi correndo sui tetti in un’antica versione del parkour e che abbia persino avuto del tempo per fare esperienze di navigazione. Non c’è accenno alla fedele compagna Senu ma considerato il ciclo vitale di un’aquila, a questo punto della storia non è una mancanza che stupisce.

Uno degli aspetti più interessanti è senza dubbio l’ordine dei Medjay. Vengono presentati come un gruppo riverente verso Amon, che garantisce equilibrio, protezione, giustizia, libertà e sostegno alla loro comunità. Fortemente aggrappati ai loro vecchi metodi, la loro mentalità non differisce poi da quella della Confraternita degli Assassini che diventerà in futuro, soprattutto considerato che i Medjay utilizzano una piuma di struzzo come simbolo di battaglia per Ma’at, dea egizia della verità e della giustizia. Queste sarebbero poi diventate le piume che gli Assassini avrebbero intinto nel sangue delle vittime per rivendicarle come prova dell’omicidio.

Da ultimo, il romanzo svolge un ottimo lavoro nel mostrare le difficoltà che deve affrontare l’Egitto nel periodo storico in questione, dipingendo il contrasto che il vecchio tradizionalismo e il nuovo radicalismo combattono nei cuori della popolazione. Un contrasto particolarmente visibile mettendo a confronto le città di Tebe e Alessandria: la prima rappresenta un mondo vecchio, fatiscente e trascurato, bloccato in antichi diritti e rituali. La seconda al contrario rappresenta la modernizzazione, con nuovi progetti architettonici e concetti progressivi che sfidano la normalità. Si tratta di un Egitto che in questo preciso lasso temporale rappresenta un eccellente incrocio di ideologie grazie anche ai suoi stessi personaggi: da un lato abbiamo Bayek, un Medjay che per sua stessa natura è la personificazione di una mentalità vecchia che fa fatica a cedere il passo al futuro rappresentato proprio dal nemico principale, l’Ordine degli Antichi, ovvero l’inevitabile senso di minaccia che il cambiamento (qualunque esso sia) porta sempre con sé. È un affascinante campo di battaglia diviso su più fronti e che grazie ad Assassin’s Creed: Origins trova infine la propria conclusione.

Nel complesso, Assassin’s Creed Origins: Desert Oath è l’interessante prequel di un titolo che si è posto l’obiettivo di dare un nuovo inizio alla serie: si propone di fornirci un’introduzione all’ambientazione e al suo protagonista e ci riesce con successo. Finito il romanzo si ha una migliore comprensione del periodo storico, del clima politico, del personaggio di Bayek e la sua personalità. Per gli appassionati della saga è un acquisto obbligatorio ma ci sentiamo di consigliarlo anche a chiunque piaccia questo particolare genere narrativo.


 

Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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