Anamorphine

GDC 2017

Anamorphine – Anteprima GDC 2017

Artifact 5 gioca con le nostre emozioni

Anamorphine

San FranciscoGDC è indiscutibilmente il luogo adatto per i giochi astratti, quelli che a prima vista sembrano non avere alcun senso, ma che in realtà nascondono messaggi più profondi. Anamorphine è sicuramente uno di questi, un gioco che difficilmente potremo incontrare nei booth dell’E3 proprio per via della sua natura, ma che forse proprio per questa potrebbe toccare i cuori di parecchie persone.

Un walking simulator nel vero senso della parola, visto che il “walking” è praticamente l’unica azione da compiere durante il corso del gioco. Niente interazioni, nessun altro pulsante da premere, al di fuori di quelli per muovere il vostro personaggio. La Producer del gioco non ci dice niente, ci fa indossare un paio di cuffie e ci invita a procedere autonomamente. Ci troviamo nei panni di Tyler, questo il nome del protagonista, destinato a rivivere il proprio passato – da cui dipendono i traumi che tuttora lo affliggono. Davanti a noi una serie di porte, probabilmente ognuna di loro conduce ad un particolare momento della sua vita, ad un ricordo. Una cosa ci è stata detta su Tyler: ha subito un tremendo dramma, ed è solo attraverso il gioco che potrete capire di cosa si tratta. Di certo in qualche modo c’entra sua moglie, Elena, che abbiamo incontrato in ognuna delle stanze che abbiamo visitato, e che probabilmente ormai vive solo nei ricordi di Tyler.

Pur avendo aperto solo un paio di quelle porte rosse, dobbiamo dire che l’aria che si respira al loro interno è pesante, resa ancor più struggente dalla musica del violoncello che troviamo nel logo del gioco e che suona Elena in più occasioni. Il tutto viene raccontato senza alcun dialogo, ma solo attraverso figure retoriche. Una stanza piena di bottiglie può farci supporre che Tyler sia finito nel tunnel dell’alcolismo, così come sedie, mobili capovolti e fluttuanti in una stanza che chiamare “disordinata” è un eufemismo ci mandano un messaggio diretto di quanto fosse diventata a quel punto complicata la sua vita.  Da una stanza nella loro casa si passa ad un campo su una terra “aliena”, pieno di vegetazione colorata, ma anche di piante che spuntano all’improvviso dal terreno e non sembrano affatto benevole.

Non abbiamo capito cosa sia successo a Tyler o ad Elena, ma nonostante la totale assenza di dialoghi o interazioni vagare nella casa e nei mondi immaginari di Anamorphine ci ha fatto sentire a disagio, avvicinandoci in qualche modo a Tyler e ai suoi turbamenti. E questo, non è una cosa da poco per un videogioco.

Tuttavia a livello ludico ci sono stati alcuni momenti in cui non avevamo alcun indizio per capire dove andare o cosa fare per procedere nell’avventura. Per raggiungere l’area successiva era necessario visitare (non abbiamo capito se in un certo ordine o criterio) alcune parti della stanza, della casa o del luogo in cui ci si trova, ma il problema è che pur pensando di aver visto tutto si finisce per notare di non aver “messo i piedi nel punto esatto” che dà accesso alla parte successiva.

Anamorphine si può giocare anche in realtà virtuale, ma abbiamo preferito giocarlo in modalità classica, confermando la bontà della nostra scelta: ci sono delle parti che hanno del contorto in tutti i sensi, ed alla sola idea di viverli “coi nostri occhi” ci viene il mal di mare. Magari ciò aiuterebbe ancor di più ad immergersi nel contesto, ma preferiamo sia qualcun altro a raccontarcelo, quando il gioco uscirà su PC.

Impressioni dalla GDC 17

I videogiochi sono sempre più un media a 360°, se ne sono resi conto i videogiocatori, apprezzando anche opere “astratte” come Journey; e di conseguenza gli sviluppatori stanno riversando le loro idee in progetti come Anamorphine, che hanno molto poco rispetto all’idea originaria di videogioco, di entertainment. In questo “gioco” c’è dolore, nessun divertimento ed un’interazione ridotta al minimo indispensabile: ma l’obiettivo di Anamorphine è raccontare una storia con una serie di immagini e figure retoriche che puntano a toccare corde nascoste nella nostra mente e nel nostro cuore. Un po’ come scoprire la tragedia che ha colpito il nostro protagonista, ed in qualche modo provare alcune delle emozioni, purtroppo negative, che egli stesso prova tuttora.

E' passato troppo tempo per ricordare il mio primo approccio al mondo videoludico... Limpido è invece il ricordo della prima console, un Atari 2600, e dei giorni interi passati a giocarci. Da allora sono cambiate molte cose: i videogiochi sono diventati il mio lavoro, non ho più tutto quel tempo per giocarli ed ormai sono pochi quelli che mi lasciano a bocca aperta. Ma al di là di tutto, l'amore c’è ancora, così come la voglia di arrivare un giorno a crearne uno… Ecco, se non si fosse capito, sono un eterno “sognatore"!

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