Oceania – Recensione “quasi” senza spoiler

Si viaggia soprattutto per crescere

Oceania – Recensione “quasi” senza spoiler

Puntuale come ogni anno, Disney ci presenta il suo lungometraggio di Natale. Nel 2013 è stato a tema invernale con Frozen e la sua indimenticabile “Let it go” mentre questa volta abbandoniamo totalmente il freddo scandinavo per spostarci dall’altra parte del mondo, nel clima molto più temperato del Pacifico. Ribattezzato in italiano Oceania, il film si era già mostrato a noi in un’anteprima assieme a Osnat Shurer.

Da diversi anni l’influenza di Pixar all’interno della Disney ha rinvigorito l’animazione, sebbene alcuni possano ancora essere affezionati e desiderare l’estetica classica che ha dato il suo meglio negli anni ’90, ma puristi o no troverete anche voi innegabile come con Oceania si sia fatto un ulteriore salto di qualità in termini di comparto tecnico, qualcosa che colpisce l’occhio soprattutto attraverso lo sconfinato oceano. Sì, perché proprio quest’ultimo sarà l’elemento chiave della narrazione, un vero e proprio personaggio che arricchisce il cast già di per sé particolare, un compagno sempre presente di cui potrebbe quasi essere facile scordarsi, un amico. Ma anche una minaccia da non sottovalutare, come cerca di far comprendere Tui Waialiki alla propria figlia Vaiana, la sedicenne protagonista della pellicola e dall’animo tormentato.

…è innegabile come con Oceania si sia fatto un ulteriore salto di qualità…

Tui è un padre e un capo, due ruoli difficili da far coincidere soprattutto se significa addossare sulle spalle di un’adolescente il destino di un intero popolo. Vaiana dovrà infatti succederlo alla guida della tribù dell’isola Motu Nui e sebbene non voglia disattendere a un compito tanto importante, dall’altro lato il fascino esercitato dalle storie di Nonna Tala e la sua inspiegabile attrazione verso quell’oceano che si è aperto a lei quando era solo una bambina rendono questo un cammino molto difficile da intraprendere, facendole credere sia un’altra la sua strada. O forse la meta è la stessa ma non il viaggio per raggiungerla. La necessità di Vaiana di conoscere il mondo, di andare oltre la barriera corallina, incontrerà ben presto una necessità più corale: la sopravvivenza. Le risorse dell’isola infatti scarseggiano fino a scomparire e alla ragazza non rimane che affrontare l’ignoto per salvare la sua gente, ripercorrendo le orme del passato.

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Ecco allora che si tratteggia il suo destino. Se possiamo considerare l’oceano come il punto chiave del film, il viaggio ne è tema principale: non è semplicemente andare da un luogo all’altro, è qualcosa di molto più profondo, è scavare dentro se stessi alla ricerca del proprio Io, scoprire e accettare le proprie debolezze e da quelle ripartire, trovando ancora la forza per alzarsi e andare avanti. Per crescere. Per diventare adulti. Un percorso, questo, che dovrà percorrere anche Maui, il vanesio semidio nonché forzato compagno di viaggio di Vaiana, che sotto la pelle (tatuata e mirabilmente animata) dell’eroe smargiasso nasconde una debolezza profondamente umana: il desiderio di essere accettato e finalmente amato da qualcuno.

In questo senso, nella riscoperta di sé, il rapporto tra Vaiana e Maui è costruito perfettamente. Ognuno è un mentore per l’altro, spesso senza sapere di esserlo e dove il semidio insegna alla giovane “principessa” – con gran carisma e ottimi tempi comici – cosa vuol dire essere un navigatore, lei gli mostra la vera forza che si nasconde in tutti noi, senza credere dipenda da un elemento esterno. In questo caso, l’amo magico. Menzione d’onore va fatta alla versione stilizzata dello stesso Maui, che dal disegno sul petto interagisce quanto e più della figura in carne e ossa, e al gallo HeiHei, lo stupido pennuto che concorre a fornire non poche dosi di commedia slapstick capace d’intrattenere anche i grandi. Vuoi per il design incredibilmente ridicolo, con quegli occhi vacui che ne sottolineano la scarsa intelligenza, o per i comportamenti che fanno capire quanta presa avrebbe su di lui la selezione naturale, HeiHei si è scavato un posto nei nostri cuori.

Non è più tempo di aspettare il principe azzurro.

Avrete notato le virgolette in cui abbiamo racchiuso la parola principessa. Questo perché Vaiana non lo è, sia magari in senso stretto, sia nell’accezione della protagonista bisognosa del principe azzurro: come prima di lei non lo sono state Rapunzel (con cui il film condivide molti aspetti, a ben guardare), o Anna ed Elsa di Frozen, Merida e, per andare ancora più indietro, Mulan e Pocahontas; la giovane polinesiana compie tuttavia un ulteriore passo in avanti verso quella modernità che vuole trasformare la figura femminile Disney in qualcosa di più della donzella il cui unico scopo era l’idealizzato vero amore e poi il matrimonio.

Dimostrando forza, carisma, carattere e certa una propensione alla leadership, Vaiana si costruisce a tutto tondo, con le certezze di un’adolescente che si affaccia al mondo reale spronato dalle proprie aspettative, destinate a crollare o quantomeno subire un brusco impatto, ma soprattutto con la sua forza e volontà di emergere, dimostrare che non è più tempo di aspettare l’aitante cavaliere in sella al destriero.

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Oceania ripercorre un pattern ben noto del passato Disney, cominciato negli anni ’30 con Biancaneve e i Sette Nani, lo fa rimodellandosi in base alla cultura odierna ma le basi sono le stesse: ancora una volta abbiamo una giovane donna che lascia il proprio nido sicuro, avventurandosi in un mondo sconosciuto e pericoloso, in cerca del proprio destino mentre canta canzoni (nell’abituale stile musical, che un po’ soffre di una traduzione italiana limitata dalla metrica e dal mantenere il significato) orecchiabili su ciò che vuole e come farà a ottenerlo. Ma la familiarità della formula quasi perde d’importanza di fronte all’esecuzione.

Oceania si dimostra l’ennesimo centro di Disney

Il film fa infatti sentire i suoi recenti predecessori come dei tentativi, delle sperimentazioni alla ricerca di quel risultato che, passo dopo passo, è stato infine raggiunto. Tutto procede come ci si aspetta e tuttavia mostrando un tempismo dalla precisione ammirevole, in mezzo a un paesaggio suggestivo e bellissimo che a tratti dà più l’impressione di essere un documentario di viaggio; l’umorismo, la meraviglia, i momenti di tenerezza, tutto ha colpito nel segno, realizzandosi come una formula perfetta, quel lungometraggio che forse Disney ha cercato di proporre sin dal lontano e famoso 1937. Sempre, però, troppo carico di musica.

Al di là di questo, che è un po’ il marchio di fabbrica della compagnia, e di un lieve calo circa a metà del film, Oceania si dimostra l’ennesimo centro, che ci mette davanti a una protagonista moderna e credibile, ammirabile nella sua intraprendenza persino quando fallisce. Il 2016 sembra proprio essere l’anno del viaggio tanto in termini videoludici quanto cinematografici e dal 22 dicembre potrete immergervi anche voi negli spettacolari paesaggi polinesiani, seguendo Vaiana e i suoi indimenticabili compagni di viaggio.


Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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