Somnia – Recensione

Somnia – Recensione

Avete mai sperimentato la paura di dormire, di stendervi sul letto per un pisolino e improvvisamente subire un attacco d’ansia e precipitare in quella che più comunemente viene conosciuta come “clinofobia”? Somnia, il film diretto da Mike Flanagan, parte da questo argomento per precipitare i suoi protagonisti in una dimensione fantastica e terrorizzante, in cui reale e onirico si mescolano fino a non riuscire più a separarli. Sarà possibile ridestarsi ?

Mike Flanagan dopo aver affrontato il tema del riflesso maledetto con il suo Oculus (2014), in cui un diabolico specchio risucchiava parenti e amici di Kaylie, una malcapitata ragazza occupata dal risolvere l’esoterico mistero e il discolparsi dall’omicidio del fratello, ripercorre la strada dell’horror psicologico con Somnia, stavolta mescolando il filone del bambino che uccide e il mondo dei sogni. Lo fa con buona volontà, ma se il sonno della ragione di solito  partorisce i mostri, il sogno di Flanagan purtroppo genera una enorme quantità di noia a causa di uno script assolutamente piatto dal punto di vista dell’innovazione narrativa.

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Senza preoccuparsi di “spoilerare” troppo, per quello che ci si può aspettare da una operazione del genere, la trama è piuttosto banale. Una coppia che ha avuto una brutta tragedia in famiglia, la morte del figlio piccolo, decide di adottarne uno. Il bambino che capita loro è adorabile, gentile ed educatissimo e immediatamente colpisce al cuore la “mamma” in crisi e il “padre” belloccio e bonaccione stile cowboy che sembra uscito da un telefilm di Bonanza, ma sul libretto delle istruzioni che l’assistente sociale ha consegnato alla coppia è scritto in caratteri microscopici il motivo per il quale quel tesoro di bambino ha bussato alla porta di tante famiglie più di un venditore di aspirapolvere: il ragazzino ha il potere di rendere i propri sogni, mentre dorme, reali. Una dote favolosa che rende i due neo genitori in grado quasi di superare lo shock della perdita del figlio naturale, ma ahinoi, il piccolo ha un trauma infantile che ritorna nei suoi sogni come un orrido incubo. Da qui ad immaginare le conseguenze il passo è breve, se poi il tutto è accompagnato da una colonna sonora coadiuvata da Danny Elfman, potete immaginare nei momenti più impegnativi cosa vi aspetta.

La tangibile verità di questo film che ha qualche buon momento (il sogno natalizio è molto suggestivo) ma una messa in scena mediocre, è che lo script non fosse tagliato per supportare 100 minuti. Sarebbe stato un ottimo cortometraggio o mediometraggio, ma forse l’occasione di centrare nuovamente il bersaglio dopo Oculus deve aver annebbiato la vista artistica di Flanagan, che per stiracchiare il tutto ha inserito minuti infiniti di dialogo fino ad arrivare anche alla, questa si terrificante, pratica dello spiegone finale dove, per essere certi che lo spettatore svegliato dal colpo di cembali finale di Elfman  non si sia perso quello che le immagini dovevano far capire, si ripercorre il tutto a parole, infilandoci anche la possibilità di un Somnia 2.

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Che resta da dire? Gli attori fanno quello che loro si chiede e sono anche ben caratterizzati. Un’affascinante Kate Bosworth dopo essere stata Lois Lane in Superman Returns ricopre brillantemente il ruolo di madre affranta dalla perdita del figlio, sfoggiando anche una bellissima eterocromia delle iridi (un occhio di colore diverso dall’altro), un simpatico Thomas Mane emergendo dalle nebbie di The Mist è affabile e sincero nel fare il padre adottivo che si affanna nel tentativo di gestire la nevrosi della moglie e farsi accettare dal nuovo arrivato, mentre Jacob Tremblay, nel ruolo di Cody (il bambino) ci offre un nuovo tipo di minore malefico: quello costernato dalle sue capacità e dai delitti che i suoi incubi compiono. Bravo anche Christopher Bousquet nell’interpretare il mostruoso incubo (vi risparmio il nome: potreste capire tutto), fra CGI (un po’ d’accatto, stile Daz3d) e contorsionismo di cui è esponente circense.

In conclusione Somnia poteva essere una buona occasione per ipotizzare un personaggio che rendesse reali i propri sogni e quindi potesse essere veicolo di terrorizzanti catastrofi, invertendo  il ciclo che aveva iniziato negli anni ’80 Wes Craven, con i sogni che uccidono attraverso Freddy Krueger, ma che rimanevano circoscritti (tranne in alcuni seguiti della serie) nel mondo onirico. Purtroppo questo interessante spunto affoga in un brutto pantano di noia e di luoghi comuni da cui difficilmente potrà risvegliarsi.


 

Classe 1968. Appassionato di GDR e Videogames, attraversa gli anni '80 con Pac Man in una mano e nell'altra uno Zx Spectrum. Negli anni '90, fra Amiga e PC, realizza cortometraggi e lungometraggi Horror e di Fantascienza che conseguono premi in vari Festival. Dal 2000 al 2012 lavora presso Cinecittà News come curatore per le riprese e l'editing video. Attualmente è docente presso Act Campus Ateneo del Cinema e Della Televisione

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