Stories: The Path of Destinies – Recensione

Stories: The Path of Destinies – Recensione

Il giorno della volpe

L‘idea di poter rivivere lo stesso giorno, la stessa storia, lo stesso evento, fino a raggiungere un fine lieto, se non uno del tutto perfetto, è al contempo affascinante e angosciante: perché si ha la certezza di poter contare su una seconda, una terza, un’infinita chance, ma al contempo c’è il rischio di non uscire più dal loop, o nel migliore dei casi, di annoiarsi a morte, divorati da quell’agrodolce sensazione di déjà-vu. Stessa dose di pro e contro che i ragazzi di Spearhead Games devono aver tenuto a mente durante lo sviluppo del loro Stories: The Path of Destinies, Action/RPG per PS4 e PC colorato e fortemente incentrato sulla narrazione, ricco sicuramente di buone idee… ma purtroppo non bastano solo quelle.

Stories: The Path of Destinies

Piattaforma: PC/PS4

Genere: Action/RPG

Sviluppatore: Spearhead Games

Publisher: Spearhead Games

Giocatori: 1

Online: Assente

Lingua: Testi in italiano / Audio in inglese

Versione Testata: PS4

Il team canadese deve aver visto un sacco di volte film come Groundhog Day, perché Reynardo, la coraggiosa volpe protagonista di questa originale avventura, pare quasi bloccato nel tempo, intrappolato in un libro che sembra voler raccontare una storia ben precisa, a base di un cattivo imperatore dalle sembianze di una rana, dei ribelli che non ci stanno a lasciarsi sopraffare dall’esercito di crudeli corvi dell’anfibio Isengrim Terzo, di manufatti potentissimi e di amici dalle incerte intenzioni, come il prode coniglio Lapino, spia dei ribelli, o la felpata Zenobia, vecchia e felina fiamma del protagonista ai tempi dell’accademia.

Sembra”, perché nonostante una base ben precisa, la storia può cambiare diametralmente il suo percorso, e non c’entrano solo i classici connotati karmici: il gioco prevede infatti un totale di 24 “storie”, influenzate tanto da semplici scelte compiute nel bel mezzo di uno dei 5 capitoli che ogni “set” prevede, quanto da veri e propri rami narrativi che si dipanano atto dopo atto, tra decisioni drastiche, ripensamenti, sacrifici e a conti fatti, lezioni di vita.

La missione del giocatore è quella di tentare, sbagliare, ripetere e trionfare, fino a raggiungere il finale vero e proprio. Alla fine della fiera, si tratta per lo più di sfumature, e come potete intuire, preparatevi a non trovare la stessa profondità di un capolavoro firmato Bioware, ma oltre ad intrigare e a spingere a scoprire in che modo il team sia andato a parare dopo una determinata scelta, merito anche della brevità estrema delle singole storie (2 ore, 2 ore e 30 circa), è anche il modo in cui sono narrate queste storie a valere il prezzo del biglietto (chiudendo debitamente un occhio in più di un’occasione, come scoprirete a breve, ndr).

La missione del giocatore è quella di tentare, sbagliare, ripetere e trionfare, fino a raggiungere il finale vero e proprio

La voce del sagace e talentuoso Julian Casey (già ascoltato all’opera in numerosi titoli targati Ubisoft, ma in ruoli decisamente secondari) sottolineerà infatti gli eventi principali, proprio come se fosse una fiaba sempre diversa, ma tenuta coerentemente in piedi al pari di un racconto al tepore di un camino, e commenterà con battute e ironia sopraffina, senza dimenticarsi di infrangere la quarta parete di tanto in tanto, i comportamenti di Reynardo e dei comprimari, neanche fosse un opinionista televisivo ante litteram (data l’atmosfera fantasy-medievaleggiante del tutto).

Peccato però che gli eventi più emozionanti e potenzialmente interessanti vengano affidati alle pagine del libro “magico” di Stories e alle parole di Casey, mentre al giocatore spetta unicamente il districarsi all’interno di dungeon di pregevole fattura, e alternarsi tra brevi scontri con mob, sequenze pseudo-stealth contro “beholder” muniti di laser, leve, e puzzle estremamente semplici, a tratti banali. Il gameplay è praticamente un orpello, nel suo essere così all’acqua di rose, un’affermazione che vale sia per l’anima action quanto per quella RPG. A salvarlo, paradossalmente, è proprio la peculiare struttura della narrazione, che permette a Stories di essere una versione miniaturizzata e compressa (o forse una parodia?) dei mastodontici giochi di ruolo che offrono la possibilità di effettuare più run in un New Game + dopo l’altro: Reynardo manterrà infatti, storia dopo storia, tutte le abilità, sempre di più da sbloccare (presso appositi altari) tramite la scoperta di “Verità” (per un totale di 4), ovvero eventi cruciali che riguardano personaggi ed oggetti legati alla macrotrama, così come le gemme trovate nei forzieri nascosti ad ogni bivio (oltre che nella trama, ne troverete un po’ ovunque) che potenziano valori come la velocità dell’attacco o la resistenza fisica, e le spade create e potenziate con i minerali e le essenze elementali, anch’esse da scovare sotto forma di succosissimo bottino.

Il compito di quest’ultime, 4, è quello di fornire un minimo di varietà, tanto nell’esplorazione piacevole ma priva di chissà quale colpo di scena o trovata leggendaria, fungendo da chiavi per speciali portali, che nel combattimento, anch’esso estremamente semplicistico, un po’ come tutto il resto.

Con il tasto quadrato farete praticamente tutto (ma “tutto” non equivale a “molto”, si tratta delle sole azioni attacco, presa e contrattacco), con il triangolo utilizzerete un gancio (utile anche per muovervi da una piattaforma all’altra), e con R2 attiverete il potere speciale delle spade, ovvero cura, velocità, ghiaccio e fuoco. Nonostante il ruolo da protagonista di un singolo tasto, il sistema di combattimento funziona bene e non va troppo in conflitto tra un’azione e l’altra, ma con l’IA così impostata al ribasso (o del tutto inesistente, chi lo sa?) è davvero difficile dire se sia un buon combat system per un gioco d’azione, o un control scheme di un rhythm game mancato.

I nemici infatti, dalla scarsissima varietà (simpatica però l’idea di introdurli volta dopo volta, parallelamente all’unlock di nuove abilità e armi), aspetteranno diligentemente il loro turno, e salvo alcuni spiritelli esplosivi, difficilmente vi daranno da torcere, mentre raramente vi costringeranno a sfruttare prese o lo scatto. Il loro design, in compenso, non è malvagio, anche se a spiccare sono i dungeon, non troppo arzigogolati, ma davvero ben fatti. Il comparto tecnico non rende però minimamente giustizia al poderoso Unreal Engine 4: seppur carica di colore e personalità, la grafica di Stories: The Path of Destinies è abbastanza basilare e non troppo ricca dal punto di vista poligonale, e cosa ancor più grave, porta il gioco a soffrire di cali di framerate in alcuni frangenti lievi ma costanti, fino a sfiorare il freeze, anche e soprattutto in situazioni prive di nemici su schermo.

Per nulla piacevole, ma non si tratta di qualcosa di particolarmente debilitante, ed è l’inevitabile compromesso che location così vaste portano ad accettare. Dovendo per forza di cose ambientare eventi differenti in uno stesso luogo, il team ha infatti dovuto creare dei livelli discretamente vasti e sviluppati in altezza, in modo da poter inserire strade, ingressi e percorsi alternativi, con l’obiettivo (non del tutto riuscito, purtroppo) di smorzare la sensazione di déjà-vu che coglie il giocatore alla quinta o sesta volta di fila in cui rivive un frammento in particolare di una storia.

Di ottima fattura anche la colonna sonora, che accompagna delicatamente il tutto senza troppo rubare la scena.

In conclusione…

Stories: The Path of Destinies è la classica occasione sprecata, un titolo basato su una gran bell’idea (seppure non troppo originale), ma che in alcuni suoi elementi appare approssimativo, se non incompleto. La trama semplice ma brillantemente narrata, così come la possibilità di sperimentare con gli eventi, sono senza dubbio interessanti, e alla luce del costo relativamente contenuto (15€), gli amanti delle narrazioni atipiche potrebbero tranquillamente dargli un’opportunità, a patto però di ignorare leproblematiche puramente tecniche (come un framerate ben lontano dalla stabilità), magari concentrandosi sulla pregevolissima direzione artistica, e il gameplay ridotto all’osso, che si arricchisce di sfumature playthrough dopo playthrough, ma che appare sin da subito sbrigativo e limitato, in particolare nel “crafting” (anche se è un’esagerazione definirlo tale).

Con più carne al fuoco (non in termini di longevità, in quanto spolpando ogni possibile “storia” il monte ore è più che buono), le lodi per Stories: The Path of Destinies si sarebbero sprecate, ma per stavoltaSpearhead Games dovrà tenere lo spumante delle buone occasioni ancora in fresco.

Voto: 6/10

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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