Life is Strange e il bisogno di storie reali

Life is Strange e il bisogno di storie reali

Il videogioco è, oggi più che mai, un medium potente, anzi, potentissimo. Il motivo è molto semplice: permette a chi tiene tra le mani un pad di sperimentare il punto di vista di un personaggio, ma allo stesso tempo di riversare sé stesso in un’avventura, un’esperienza manipolabile e priva della passività del cinema o della letteratura. Per questo motivo il raccontare una storia attraverso i videogiochi è diventata, grazie anche alle nuove tecnologie, una pratica sempre più frequente. Abbiamo tanti esempi di giochi costruiti attorno alla narrazione, e non più intorno ad un gameplay e ad un’idea di level design, che può dare vita a titoli di puro intrattenimento come Splatoon, ad esempio. Molti autori, sviluppatori vogliono sfruttare l’interattività, il videogioco per raccontare una o più storie. Il tracollo di un eroe come Max Payne, l’incubo di un autore come Alan Wake, il dolore di un padre durante la fine del mondo come in The Last of Us.

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Tutti questi personaggi, o titoli, sono frutto della volontà di uno o più autori di raccontare delle esperienze e delle storie al giocatore, con la differenza che quest’ultimo ha la possibilità di viverle, di relazionarsi alla storia raccontata in modo unico, nel suo personale punto di vista. Ciò che però manca, a differenza di altre forme artistiche, e la voglia di raccontare storie reali, non perché quella di Joel ed Ellie sia una storia inverosimile, anzi, ma piuttosto perché tutto ciò che ruota attorno ad essa è frutto di fantasia, finzione: non ci sono clicker o infetti nel nostro mondo, né vige la legge marziale. La nostra è, con la sua terribile realtà, una vita ordinaria: possiamo relazionarci con i sentimenti e le paure di Joel, Ellie o chi per essi, ma il mondo che li circonda è così distante da noi che basta poco per spezzare l’immedesimazione o la magia di un momento “vero”.

Il mondo dei videogiochi ha bisogno di storie reali, che rispecchino la realtà e la società in cui viviamo ora: cavalieri, orchi, zombie, androidi e chi più ne ha più ne metta sono tutti mezzi fantastici e fondamentali per raccontare e arricchire delle storie, esplorando tematiche altrimenti di difficile collocazione. Ma c’è bisogno di andare sempre così lontano? Viviamo in un’epoca ricca di contraddizioni e di storie che aspettano solo di essere raccontate, ma è una chiamata a cui il nostro medium preferito non sembra dare peso.

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Un trend che, mai come quest’anno è stato spezzato con una ventata d’aria fresca assolutamente inaspettata: Life is Strange, avventura episodica dei Dontnod Entertainment pubblicata da Square Enix e, nel corso della sua uscita, recensito su queste pagine dal sottoscritto in modo entusiastico. Life is Strange racconta la storia di Max e del suo potere di riavvolgere il tempo, di alterarne il suo corso (quasi) a proprio piacimento. Una premessa tutto fuorché appartenente alla realtà che ci circonda, ma che va ad arricchire un quadro generale invece vicinissimo a noi, ora. L’avventura segue infatti la vità di Max al liceo, in una normalissima cittadina americana. Chi di noi non ha vissuto la vita scolastica, tra alti e bassi, e la vita legata al nostro quartiere o alla città in cui viviamo? Un legame fortissimo che ci permette fin dal primo istante di immedesimarci, senza barriere di sorta, nella storia costruita dagli sviluppatori. Bullismo, i primi amori, l’esplorazione della sessualità, il suicidio, l’eutanasia, la morte. Questi i temi che le mura scolastiche ed i luoghi della cittadina immaginaria di Arcadia Bay trasmettono al giocatore, scena dopo scena, in una continua esplorazione della società odierna attraverso gli occhi di un’adolescente.

Come vi comportereste se un vostro conoscente tentasse il suicidio, dopo essere stato vittima di bullismo? Non lo sapete, è una domanda che vi spiazza: non ci sono di mezzo alieni o regni di sorta da difendere, qui si parla di eventi che possono sconvolgere le nostre vite in qualsiasi momento. La mia scelta di aiutare una vittima di bullismo a rialzarsi, a trovare il coraggio di affrontare il suo Golia a dispetto di tutto, non si ripercuote solo nella mia esperienza videoludica, ma anche nella mia vita. Gli sviluppatori si sono resi conto del potere della loro storia, tanto da inserire nel gioco un numero di assistenza per qualsiasi persona si trovasse nella stessa situazione dei personaggi di cui sta vivendo la storia. Quando il muro della storia cade, quando le barriere che ci separano da quel mondo di fiction sono fragili o del tutto assenti, ci rendiamo conto di quanto possa essere potente il videogioco nelle mani giuste. Siamo tutti fatti di storie, ed ognuna di esse merita di essere raccontata.

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Per capire se effettivamente la mia analisi abbia un fondamento, ho fatto un salto in giro per il web, tra forum e reddit, alla ricerca di testimonianze che potessero dimostrare l’efficacia di Life is Strange nel raccontare la realtà quotidiana nel modo più diretto e realistico possibile:

L’utente Agent_Alpha su reddit ha raccontato come la sua esperienza in Life is Strange gli abbia permesso di affrontare la morte di un familiare con una nuova consapevolezza.

Sto sperimentando una situazione simile proprio nella vita quotidiana. Mia madre è attualmente attaccata ad un respiratore e la situazione peggiora sempre più. Stiamo discutendo della possibilità di porre fine alle sue sofferenze una volta che le rimuoveranno il respiratore. Ho sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato, ma l’aver sperimentato tutto questo nel gioco mi ha dato una nuova prospettiva: ricordare tutti i bei momenti che mia madre ha avuto prima di tutto ciò, e provare ad immaginare che, dopotutto, troverà finalmente un po’ di pace. Questo gioco ha avuto davvero un grande impatto sulla mia vita – e in positivo.

In risposta, un altro utente ha condiviso la sua testimonianza:

Onestamente, mi ha aiutato a decidere di richiedere un consulto per affrontare la mia possibile depressione. Ho rivisto nel personaggio di Kate tantissimo di me. Ho avuto, ed ho, dei pensieri simili a lei… mi ha aiutato a vedere che quella – della depressione – non è una strada che voglio seguire fino in fondo.

Insomma, più passa il tempo e più, grazie a testimonianze simili, credo che il videogioco possa (e debba) perseguire altre strade: che senso ha puntare ad un realismo visivo se le storie a cui diamo voce sono sempre le stesse? E non si tratta del fatto che siano brutte o belle, ma piuttosto di come affrontino tematiche importanti senza cognizione di causa, senza dare spazio a delle realtà che fanno parte del nostro quotidiano.

Invece di allontanarsi sempre di più, parlando del futuro o di chissà quale società utopica, dovrebbero avvicinarsi al giocatore – perché come per il cinema o per la letteratura, se vuoi davvero fare la differenza, se vuoi davvero stupire chi hai di fronte, devi toccare corde che non potrai nemmeno strimpellare se hai di mezzo alieni e cavalieri. C’è bisogno di persone: quelle come te e me.


Mi piacciono i videogiochi e mi piace scrivere, perché non unire le due cose? So anche imitare Topolino e Joe Bastianich, ma non mi pagano per farlo.

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