Need for Speed – Recensione

Need for Speed – Recensione

Si dice che il miglior metodo per non collezionare delusioni sia non crearsi aspettative. Detto così sembra facile, ma non lo è affatto quando si parla di titoli che accumulano hype a non finire e fanno sognare i fan più accaniti con una sorpresa come il reboot di Need for Speed.

Parliamoci chiaro, quando il gioco è stato presentato durante l’E3 2015, chiunque avrebbe pensato ad unUnderground 3, ma la prima piccola crepa in paradiso si è creata quando EA ha chiarito ogni dubbio e dichiarato l’intenzione di ricominciare da zero col brand. A quei tempi era presto per trarre conclusioni e tagliare subito i ponti, ma col senno di poi sarebbe stato quasi il caso, vista la conclusione dei fatti.

Need for Speed è bello: la grafica spettacolare e l’immersione nelle strade sono i punti che trainano questo reboot. Il problema è che oltre a questo non c’è molto altro, sia dal punto di vista della trama che da quello della giocabilità. Il tutto è condito da notevoli limiti tecnici e scelte che fanno venir voglia di sedersi ad un tavolo col team di Ghost Games per un’amichevole e costruttiva discussione. Il reboot è partito a 3 cilindri e va riavviato ancora con un progetto molto più concreto.

Need for Speed

Piattaforma: Xbox One, PS4, PC (in arrivo)

Genere: Racing

Sviluppatore: Ghost Games

Publisher: EA

Giocatori: 1

Online: 1-8 (sempre online)

Lingua: Completamente in italiano

Versione Testata: Xbox One

L’occhio vuole subito la sua parte in Need for Speed e viene dunque accontentato istantaneamente. Il reboot è infatti dotato di una grafica spettacolare, che nonostante il downgrade risulta essere una delle migliori in circolazione, mai vista finora in un capitolo della serie. Ciò va a braccetto con le scene live action che compongono la trama, un gradevole ritorno al passato di Most Wanted e Carbon, che con la loro narrazione hanno senz’altro contribuito ad uno stile che si spera possa continuare nel tempo. È infatti quasi impossibile capire quando avvenga la transizione da grafica a realtà, un fattore che crea una linea di continuità molto piacevole tra le cutscene e il gioco effettivo.

Sotto la veste grafica c’è però poco da vedere: per quanto carismatici possano essere i nostri compagni di crew,la trama non ha mai subito quel salto che ci si aspetta da un capitolo di Need for Speed. Ogni cosa è incentrata sul gioco di squadra e sulla scalata verso la vetta, senza apparenti rivali che ci metteranno i bastoni tra le ruote o faranno di tutto per screditarci. Le 5 personalità leggendarie sono infatti “amiconi”, che regalano sfide classiche piuttosto che scontri di nervi. Tutto sommato è una trama piacevole, ma si perde quella sensazione di “oscurità” che ha caratterizzato le storie contorte di Most Wanted e Carbon. Per farla breve, non c’è un “cattivo” da odiare ed inseguire, ma solo un gruppo di amici intenti ad impressionare i migliori piloti in circolazione per ottenere le loro attenzioni e diventare i re dei social network. L’ingresso di personalità come Ken Block è tuttavia molto interessante e fa capire quanto fosse ambizioso il progetto di Ghost Games.

A contribuire alla difficoltà crescente di Need for Speed c’è il fastidioso e, purtroppo, ancora più evidente effetto rubberband

Le buone intenzioni però non sono tutto ciò che conta, poiché serve poi mantenere salde le aspettative e dare ai fan della serie ciò che vogliono. Ghost Games ci è riuscita a metà: chi voleva un Need for Speed in linea con i titoli recenti troverà pane per i suoi denti, con un gameplay rinnovato, ma comunque plasmato su Rivals e Most Wanted (quello nuovo). Chi invece pensava di ritrovarsi con Underground 3 rimarrà con un bel pugno di mosche. Poco c’è infatti del passato in questo reboot, tanto che faccio io stesso fatica a pensare che sia un Need for Speed: per quanto EA e Ghost Games abbiano voluto far capire fin dall’inizio che non sarebbe stato un sequel diUnderground, i fan hanno vissuto per mesi convinti delle proprie aspettative e arrivando ora, appunto, delusi.

Dicono che il limite sia il cielo: in questo caso, il limite di questo gioco è il suo nome. Per quanto sia godibile e divertente nelle sue sfide, non percorre la stessa via dei migliori Need for Speed.

Scendendo però all’interno del gioco, le ambientazioni notturne di Ventura Bay sono molto belle alla vista e trasudano voglia di ricreare l’ambiente di Los Angeles e di Underground 2, riuscendoci però solo in parte. I colori sono infatti poco presenti tra gli edifici e si mantiene sempre un tenore da periferia, senza vie alberate e costellate di hotel sbrilluccicanti. La nebbia è inoltre un fattore climatico praticamente perenne e portato a braccetto dalla pioggia, che oltre a schiantarsi sulla nostra telecamera va anche a depositarsi sulla scocca delle auto, regalandoun impatto visivo fantastico e difficilmente trovabile in altri giochi simili.

Ventura Bay, nella sua forma fotograficamente esaltante, accoglie tuttavia una trama che non lascia il segno e che può durare relativamente poco per chi gioca assiduamente. Questo non significa che i piloti provetti avranno vita facile durante le gare, ma che comunque il gameplay della storia non supererà le 11 ore in caso di gioco continuo. A contribuire alla difficoltà crescente di Need for Speed c’è il fastidioso e, purtroppo, ancora più evidente effetto rubberband, che permette agli avversari superati di recuperare il distacco e penalizza chi è in testa. Spesso capiterà infatti di superare facilmente un nostro membro della crew per poi vedersi bruciati verso la fine, costringendo a ripetere il tutto: personalmente trovo sia uno dei fattori più seccanti di Need for Speed, che non gratifica in nessun caso le abilità di un pilota e diventa ancora più antipatico nell’ultimo capitolo della serie.

Se dovessi prendere Need for Speed solamente da come le auto si comportano nell’esplorazione libera, questo reboot potrebbe classificarsi come uno dei migliori giochi d’auto dell’anno. Scorrazzare tra le vie di Ventura Bayè divertente e la velocità viene resa bene dalla grafica sensazionale: del resto sotto il cofano di Need for Speedc’è il Frostbite Engine a dare solidità al reparto visivo. Viaggiare da soli ha dunque il suo fascino, ma i problemi nascono quando ci sono altre persone intorno a noi e percorsi da intraprendere. Fin dall’inizio si sente la mancanza di avversari: le corse sono infatti continuamente monopolizzate dai membri della nostra crew, sempre vogliosi di confronti singoli. Di rado si vedranno altre macchine comparire nelle gare, ma con una storia praticamente assente alle spalle: era elogiabile l’idea delle gang in Need for Speed: Carbon, ma con questo reboot i buoni propositi sono stati definitivamente annichiliti. Le sfide assumono dunque un tenore monotono e poco vario, con confronti che vanno dalle prove a tempo agli sprint, dai circuiti al drifting.

Quest’ultimo necessiterebbe di una sezione a sé, poiché è risultato essere uno degli aspetti più controversi del gioco. Personalmente penso che il drifting sia una delle tecniche più appaganti ed entusiasmanti nel mondo delle 4 ruote, quindi poterlo vivere in un gioco è per me sempre una grande opportunità. In questo Need for Speed si era subito parlato di quanto il drifting fosse importante, tanto da assumere una telecamera tutta per sé. Non immaginavo però che sarebbe stato così duro da maneggiare: all’inizio è un’autentica tragedia, un boccone amarissimo da dover inghiottire pur di rimanere in gara con gli avversari.

Le basse velocità distruggono infatti la possibilità di effettuare power slides, minando così la vittoria o, addirittura, il taglio del traguardo. La colpa è da affidare alla modalità drifting “automatica”, che permette al gioco di capire da solo quando introdurre la sbandata e aiutare il giocatore: gli sviluppatori hanno però dimenticato un dettaglio, ovvero che la console non può leggere nel pensiero di chi ha il controller in mano. Ecco che dunque la derapata parte quando vuole e, quando ci si arrende all’idea di dover modificare il modo di guidare, il gioco cambia ancora idea portandoci allo stile di guida classico. Il risultato è molto semplice: schianti a destra e a manca contro edifici, pali e barriere.

Più avanti, grazie all’aumento della velocità e alla conoscenza della propria macchina, si apprende meglio come driftare e si comincia ad avere un certo controllo della sterzata, ma per raggiungere questo obiettivo è necessario disattivare la derapata automatica e il suo aiuto annesso, facendo diventare del tutto manuale il drifting. Solo in questo caso si potrà cominciare ad avvertire il senso di divertimento che una tale manovra può conferire.

L’essere costantemente online è a dir poco superfluo. Non ci sono apparenti motivi per essere collegati ad internet

Need for Speed fallisce purtroppo fin dal primo minuto in un settore specifico: il gioco può essere utilizzato solo con una connessione internet, che lo rende di fatto “always online” con tutte le limitazioni che questa “libertà” può avere. Ciò non significa che i titoli di questo tipo siano tutti da buttare via, ma quando si prende una tale decisione bisogna fare in modo che non solo tutto il gioco sia improntato all’online, ma soprattutto che una tale feature funzioni in modo impeccabile. In Need for Speed, nessuno di questi due criteri viene rispettato: l’essere costantemente online è a dir poco superfluo, poiché raramente si incontrano gli altri giocatori e, quella volta che avviene un incontro, in genere ognuno è impegnato nella sua trama. Non ci sono altri motivi per essere collegati ad internet, a parte la condivisione dei propri screenshot, cosa che però non ha il minimo peso quando si parla di gameplay, se non per il fatto che i likes portano ad un lieve aumento del denaro disponibile.

Il secondo criterio viene spezzato quando si scende in strada a correre. Gli altri giocatori nella mappa (massimo 7) non solo possono interagire con noi durante il free-roaming (per carità, fattore positivo), ma anche durante le gare stesse, presentandosi come ignari ostacoli da superare. Mi è capitato talvolta di dover riavviare la corsa poiché un giocatore aveva fermato la propria auto in mezzo alla strada, senza pensare che qualcuno come me sarebbe potuto passare lanciato in velocità. Stare fermi in un posto è infatti una delle prerogative, poiché la nostra vettura può essere spenta e lasciata in sosta ovunque, dato che non esiste un menu di pausa che congeli effettivamente il gioco. Questa è secondo me un’altra enorme mancanza, che non permette in un gioco di corse di fermarsi un secondo a pensare o di prendere pause: una volta cominciata una gara, va per forza portata a termine senza interruzioni. EA purtroppo non è nuova a trovate come questa nell’obbligare i giocatori ad essere sempre connessi ad internet: il primo esperimento è stato condotto tramite SimCity, con risultati che penso tutti abbiano bene in mente.

Un altro fattore che porta Need for Speed alla deriva è la personalizzazione, che dai trailer sembrava entusiasmante, ma si è presentata poi scarna e unidirezionale. Per quanto sia possibile modificare in modo minuzioso ciò che sta sotto il cofano, passando per ogni singolo dettaglio della meccanica, restano i dubbi sul tuning estetico, sempre all’avanguardia per le aerografie, ma deludente per i kit aftermarket. Ci sono infatti auto che propongono vari (seppur pochi) pezzi da montare, ma sono rimasto allibito dopo aver scoperto che la miaToyota Supra, autentico caposaldo del tuning, può montare solo un tipo di paraurti posteriore e due tipi di paraurti anteriore. La mente è andata istantaneamente all’enorme parterre di modifiche possibili nell’uber-citatoUnderground 2 per un confronto che può ormai sembrare noioso e ripetitivo, ma resta senz’altro attuale.

Non finiscono qua purtroppo le magagne che attanagliano questo reboot di Need for Speed, ma lascerei spazio anche ai fattori estremamente positivi prima di calare nuovamente la scure. Graficamente parlando, Need for Speed lascia infatti a bocca aperta per la definizione dei dettagli e la ricostruzione certosina dei veicoli disponibili. Non solo la carrozzeria risplende di realismo, ma anche i fattori ambientali esterni e i danni sono ben proposti e fanno fare un grande passo in avanti al colpo d’occhio di Need for Speed.

La qualità dei dettagli può essere vissuta sulla propria pelle in qualsiasi momento, poiché l’intero motore grafico funziona sempre e costantemente per proporre la migliore definizione ed un passaggio impercettibile tra cutscene e gameplay. Conviene anche fermarsi a volte vicino al marciapiede, spegnere il motore e restare a guardare le auto che passano, lasciando sullo schermo flares fotografici ricreati al bacio o scuotimenti dovuti ai giocatori che sfrecciano accanto alla nostra auto.

Ghost Games non delude dunque per quanto riguarda l’impatto visivo, regalato anche dal motore Frostbite e dall’aiuto di EA. Proprio il publisher, come suo solito, non sbaglia mai quando si parla di colonne sonore: per quanto le tracce siano sempre elettroniche e piuttosto pesanti come stile, il loro ritmo e la cadenza sono perfette per il mood della città e per le gare. Notevoli anche tutti gli effetti sonori delle auto e dell’ambiente circostante, ancora una volta al passo con i migliori giochi e basati sui veri suoni di ogni veicolo presente nel parco auto.

La IA non è infatti all’altezza di un gioco simile, poiché è governata dall’effetto rubberband e si dimostra estremamente fastidiosa durante le gare di drifting

È arrivato però il momento di sedersi davvero ad un tavolo e discutere con Ghost Games di alcune scelte discutibili che fanno di Need for Speed un gioco con limiti tecnici imbarazzanti. Tralasciando l’enorme impronta che la funzione “always online” può lasciare sul percorso del gioco, un punto che mi ha lasciato perplesso è l’intelligenza artificiale degli avversari e della nostra crew. La IA non è infatti all’altezza di un gioco simile, poiché è governata dall’effetto rubberband e si dimostra estremamente fastidiosa durante le gare di drifting. Ogni contatto in questa sfida risulta nella perdita del punteggio accumulato: agli avversari dunque non importa se arriveranno a velocità folle nella portiera della nostra auto durante una derapata sensazionale, spezzando così le probabilità di vittoria. È difficile pensare che una IA possa fare di proposito un gesto simile, che tuttavia rimane frustrante e costringe spesso a dover riavviare la corsa.

Un altro tipo di IA è affibbiato alla polizia, di cui non ho parlato appositamente poiché non si vede quasi mai: oltre al fatto che le pattuglie sembrano sotto sedativo e con la stessa voglia di lavorare del commissario Winchester(dei Simpson), in caso di infrazione si può comodamente accostare e pagare la multa, evitando così un inseguimento. Capita comunque di rado che si passi davanti ad una pattuglia a caccia di piloti, ma, chissà perché, cascano sempre a fagiolo durante le gare derapata, rendendo la vita piuttosto difficile. Per quanto riguarda gli inseguimenti, comunque, dimenticate completamente le sessioni a ritmo folle di Most Wanted e Carbon: qua la polizia gira solo per rappresentanza, con la stessa autorità di un nerd in un college americano.

Come se l’IA non fosse dunque già abbastanza infame, ecco che anche gli schianti più pericolosi diventano degni di una cutscene in stile Burnout, con conseguente ed ulteriore perdita di secondi preziosi. Per penalizzare un giocatore avventato potrebbe essere anche una trovata efficace, ma purtroppo ha anch’essa un errore di base: il respawn avviene sempre nel momento sbagliato e ha portato spesso ad un altro schianto nel giro di mezzo secondo, a cui non si può fisicamente sfuggire. Tali incidenti sono anche dovuti ad una pessima gestione della traccia sull’asfalto che dovrebbe guidarci nel percorso: spesso e volentieri la scia prende svolte improvvise ed inutili, risultando in strafalcioni, direzioni sbagliate e, dunque, riavvio della corsa.

In conclusione…

Il segreto per godere al massimo di questo Need for Speed è giocarci con l’illusione che non sia un titolo di questa serie. I panorami stupendi e la guida divertente, seppur dopo molta pratica, fanno di questo titolo un gioco che consiglio comunque per una sana dose di svago.

L’errore però è aspettarsi qualcosa di più, basandosi sia sulle enormi aspettative create nelle scorse settimane sia sul passato glorioso della serie. Di Need for Speed qua c’è poco, a parte la velocità e le macchine da personalizzare a piacimento. Se eravate alla ricerca di un successore di Underground, questo titolo decisamente non lo è, ma si comporta comunque come un effettivo reboot. Resta da capire cosa aspettarsi da EA in fatto di DLC gratuiti, promessi continuamente ai giocatori durante l’anno, e daGhost Games, che potrebbe continuare ad occuparsi della serie, magari ascoltando un po’ di più i fan prima di fare di testa propria.

Paragonerei questo titolo a Fallout: New Vegas: sarà anche un Need for Speed, sarà anche divertente da giocare, ma non ha lo stesso sapore di una volta e sta lentamente diventando un titolo arcade qualsiasi, che purtroppo arriva quasi a rinnegare i propri risultati positivi pur di seguire la linea evolutiva di tecnologia e marketing.

È innegabile che i giocatori vogliano un seguito ben fatto di Underground 3 e la speranza continua a svanire pian piano. Dato che Need for Speed è comunque nelle mani del suo originale produttore, confido però che EA possa eventualmente prendersi carico di questa nuova sfida e regalare finalmente ai giocatori il degno successore di una delle serie automobilistiche più amate del gaming.

Voto: 6,5/10

Sta cercando da tempo di trasformare le sue passioni in un vero lavoro. A parte i videogiochi, ciò che sogna è essere regista/sceneggiatore di un film, visto l'amore per fotografia e video-editing. Nel frattempo fa vedere quanto è scarso su Twitch (http://www.twitch.tv/ilcermallo).

Lost Password