Dragon Quest Heroes: L’Albero del Mondo e le radici del male – Recensione

Dragon Quest Heroes: L’Albero del Mondo e le radici del male – Recensione

Ci sono franchise che funzionano solamente in Giappone, in America o in Europa. Altri funzionano e vengono apprezzati più o meno ovunque, un po’ per semplice fortuna, o piuttosto perché il nome volente o nolente ha un certo richiamo anche al di là del paese d’origine. Dragon Quest è senza dubbio una serie che rientra nella prima categoria: follemente amato in Giappone, decisamente meno nel resto del mondo. Dragon Quest in tal senso non è Final Fantasy, non è quindi una serie che è riuscita ad evolversi in modo significativo facendo breccia nel cuore degli appassionati occidentali.

Dragon Quest appartiene al Giappone, sia per uno stile di gioco dal taglio piuttosto “old school” sia perché per motivi strettamente economici è dai tempi del Nintendo DS che Europa ed America non vedono un nuovo capitolo o uno dei molteplici remake proposti negli ultimi anni da Square Enix. Dragon Quest Heroes si presenta quindi a gamba tesa nel mercato nostrano come un’occasione, quella di riportare un passo alla volta questa storica serie di Jrpg in Occidente. Heroes è uno spin-off, certo, ma lo stile mosou di Koei Tecmo e il sapore squisitamente action-rpg del titolo sono un’ottima occasione per riportare il nome “Dragon Quest” sui nostri scaffali. Al di là di eventuali mire espansionistiche, quanto di buono c’è in questo titolo?

Koei Tecmo ha ormai dato il via ad una vera e propria rivoluzione “interna”: mettere al servizio di svariate IP il suo genere per eccellenza, quello dei mosou, contaminandolo con elementi propri della serie presa in esame. Hyrule Warriors rivisitava Hyrule in una veste differente, e il futuro Attack on Titan farà ancora di più. Dragon Quest Heroes non poteva essere da meno, ed infatti quello che abbiamo di fronte è un mosou solo in parte, arricchito com’è da tutta una serie di elementi ruolistici già presenti nella serie storica e rimescolati in questa sede per funzionare meglio in quello che è, a tutti gli effetti, un action-rpg. Nei panni di Lucyus e Aurora saremo chiamati a liberare il regno di Arba e tutto il continente da una minaccia sconosciuta che ha minato le fondamenta stesse del mondo, facendo ritorcere contro gli umani tutti i mostri che abitano le loro terre.

A differenza del solito infatti, qui i mostri vivevano in sintonia con gli umani, mettendosi a loro disposizione e contribuendo alla società. Sebbene la trama non sia il piatto forte del titolo, la presenza di molteplici personaggi provenienti dai capitoli originali (Dragon Quest V, VIII e Monsters per dirne qualcuno) arricchisce l’avventura con rimandi al passato, tantissimo fanservice e un generale e riuscito umorismo che passa (anche) per l’ottimo doppiaggio inglese, tutto votato all’accento british e spesso arricchito con accenti particolari.

E dove il doppiaggio non arriva, ci pensa anche un traduzione italiana assolutamente memorabile, che fa uso in puro stile Dragon Quest di dialetti nostrani che non potranno non strapparvi un sorriso. Insomma, se il succo dell’esperienza risiede altrove, è da elogiare il tentativo di creare qualcosa che sia almeno puro e semplice intrattenimento, come al solito impreziosito dall’incredibile stile di Akira Toriyama.

Ciò che è importante, come in qualsiasi altro videogioco, ma soprattutto in un questo caso, è il gameplay. Il titolo in questo senso non si distanzia molto da quanto visto in Hyrule Warriors, o in un Dynasty Warriors a caso,portando il giocatore ad esplorare aree di differente vastità nelle quali fare piazza pulita di svariati plotoni di nemici. Slime, Scheletri, Golem: tutto l’immaginario proveniente dai capitoli originali si riversa in Heroes per dare vita a scontri sempre differenti. Dopo tutto parliamo di più di 20 anni di storia alle spalle! Tutto è quindi costruito intorno all’inesorabile corsa del giocatore, con un sistema di combattimento che pur rifacendosi come base ai mosou introduce nel sistema attacchi speciali e statistiche legate all’equipaggiamento.

Al di là dei semplici attacchi leggeri e pesanti sarà infatti possibile utilizzare una serie di abilità speciali, offensive o di potenziamento, che ci permetteranno di sbaragliare i nemici in svariati modi, sfruttando le loro debolezze e i loro punti ciechi. L’anima da jrpg si nota soprattutto nel potenziamento dei personaggi, che guadagnano esperienza, salgono di livello guadagnando punti abilità necessari a sbloccare abilità e ad aumentarne le statistiche. Questo elemento, da solo, aggiunge una struttura tutta nuove al semplice gameplay proprio dei mosou, permettendo addirittura di far crescere il personaggio come si vuole per renderlo più adatto al suo ruolo nel party o al nostro stile di gioco.

Oltre a Lucyus e Aurora sarà infatti possibile utilizzare tutti i personaggi che saliranno a bordo della Nubirock (che tratteremo a breve), permettendoci di formare un party di 4 personaggi da alternare e utilizzare a proprio piacimento a seconda delle situazioni: alcuni personaggi hanno attacchi più indicati per gli scontri con i boss, ad esempio; mentre altri prediligono mosse ad area e sono quindi indicati per affrontare con più facilità orde di mostri piuttosto nutrite. E se ben poco dell’anima mosou viene espanso o evoluto rispetto al passato, il titolo cerca di porsi come action-rpg ibrido anche per quanto riguarda la struttura al di fuori del campo di battaglia.

Tra un “livello” e l’altro potremo gestire il nostro party a bordo della Nubirock, una nave volante che funziona come un vero e proprio hub in cui acquistare ed elaborare equipaggiamento, salvare la partita, accettare missioni secondarie, e sbloccare particolari oggetti tramite le minimedaglie ottenute nel corso del gioco. Da qui ci si snoda poi verso la mappa del mondo, in cui è possibile selezionare la prossima destinazione e, in caso si possedessero delle mappe speciali, scoprirne di nuove dove fare esperienza o sconfiggere alcuni dei boss battuti in precedenza. Quasi fosse davvero un gioco di ruolo. Quasi.

Questo dividersi tra due anime, una mosou ed una jrpg, è difatti il più grande limite di Dragon Quest Heroes: una limita l’altra, non permettendo a nessuna di esse di prevaricare e di esprimersi quindi al massimo. Se da un lato il grande accento posto sulle componenti ruolistiche meglio si sposa con un brand come Dragon Quest, dall’altro viene sacrificata la sua componente action, che ne risulta appesantita e che quindi non permette di avere un gameplay fluido, e profondo come altri esponenti del genere. Non è un difetto, ma un limite che ne pregiudica l’eccellenza.

Perché al di là di questo, e di una generale ripetitività (purtroppo insita nel genere su cui si basa) Dragon Quest Heroes ha delle belle idee, messe in atto con cura e con un certo stile. Spicca tra tutte la possibilità, proprio come in alcuni dei titoli originali, di utilizzare i mostri a proprio vantaggio. Il che non significa che siamo di fronte ad una sorta di Pokémon, perché il loro utilizzo e reclutamento è relegato solamente alla battaglia in corso. Ogni volta che uccideremo un nemico ci sarà infatti una discreta probabilità che questo lasci cadere una moneta, che se raccolta dal giocatore permette a quest’ultimo di utilizzare il mostro appena ucciso al proprio fianco:Sentinelle e Attivisti, due semplici ruoli che indicano il modo in cui è possibile utilizzare i curiosi mostriciattoli; nel primo caso potremo selezionare che punto della mappa fargli “coprire”, funzionando per l’appunto come sentinelle che prenderanno iniziativa in quello spazio ben definito: nel secondo caso si tratta invece di semplici attacchi speciali, con il mostro che scomparirà subito dopo l’utilizzo. L’uso che se ne fa delle Sentinelle è senza dubbio il più interessante, e a seconda degli obiettivi richiesti (difendere un avamposto ad esempio) sarà fondamentale utilizzare queste ultime con saggezza e strategia, per rallentare le incessanti orde di nemici provenienti da ogni dove. Una sorta di tower defense semplificato, se vogliamo, ma che aggiunge spessore e divertimento ad un gameplay che non offre poi molto.

Nonostante si tratti di un titolo con una base che parte da Playstation 3, la versione Playstation 4 (l’unica arrivata in Europa) si difende piuttosto bene con uno stile grafico particolarmente azzeccato ed una serie di effetti che impreziosiscono il tutto. L’unico problema – non si tratta del frame rate, tranquilli – risiede nella mancanza di dettagli delle ambientazioni, che sebbene si presentino piuttosto vaste in certe occasioni e ricolme di nemici, sono prive di quei particolari che avrebbero sicuramente giovato all’esperienza complessiva, viste le decine di ore richieste per completare l’avventura e le molte altre che è possibile investire nelle attività secondarie.

Per fortuna che le storiche musiche orchestrali e annessi effetti sonori tipici della serie sono presenti più che mai in questa avventura, sperando di poterne godere ancora con l’arrivo di altri titoli in Europa. Per ora ce lo facciamo bastare.

In conclusione…

Dragon Quest Heroes è un buon gioco che, purtroppo, trova dei limiti nella sua stessa essenza di ibrido, di mediazione tra un mosou puro ed un action-rpg con tutti i crismi. Una storia piacevole ed una serie di elementi che arricchiscono la classica formula dei titoli Koei Tecmo si presentano quindi come divertenti, riusciti e ben costruiti, ma non riescono a trovare pieno sfogo in nessuna delle due direzioni, relegando a Dragon Quest Heroes il semplice titolo di buon gioco.

Se siete appassionati della serie Square Enix siete di fronte ad un titolo fatto al 100% di fanservice, se invece apprezzate il genere e volete avvicinarvi a questo Dragon Quest non temete: il titolo è godibile anche per chi cerca un’esperienza gdr leggera e non ha alcuna conoscenza del franchise. In questo senso Heroes è proprio un biglietto da visita, che si spera possa permettere ai “pezzi da novanta” del franchise di Square Enix di raggiungere il vecchio continente.

Voto: 7,5/10

Mi piacciono i videogiochi e mi piace scrivere, perché non unire le due cose? So anche imitare Topolino e Joe Bastianich, ma non mi pagano per farlo.

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