Fantasy Life – Recensione

Fantasy Life – Recensione

Attualizzare per il pubblico Occidentale una recensione di Fantasy Life è un’operazione che ha, malgrado la novità del titolo, un retrogusto velatamente anacronistico. Il gioco firmato Level-5, infatti, non solo ha cominciato la sua gestazione creativa sui pacchetti di programmazione del Nintendo DS ormai molti anni addietro, ma, dopo aver balzato verso l’ultima versione portatile di casa Nintendo e successivamente completato il suo itinerario di aggiornamento generazionale, al momento dell’imminente pubblicazione europea avrà compiuto quasi due anni di vita in terra giapponese. In un certo senso siamo di fronte a uno dei paradossi del mercato del nostro settore, capace di generare inaspettate dilazioni temporali e pesanti cesure nel flusso del trasferimento continuativo di dati, laddove il mercato globale tende curiosamente all’estremo opposto, ovvero all’impazienza generata dall’interscambio istantaneo agglomerati digitali, di cui i nostri amati giocattoli si nutrono per prender forma.

Eppure la soddisfazione di poter finalmente mettere le mani su uno dei titoli più interessanti apparsi su 3DS in tempi recenti è tale da cancellare ogni considerazione tangenziale e da spingermi a mostrare sincera gratitudine nei confronti di chi, come Level-5ha creduto a tal punto nella propria creatura da volerla liberare oltre i confini nazionali, ma anche verso quella nutrita schiera di videogiocatori che promuovendo con passione e insistenza il proprio interesse videoludico ha saputo dar corpo e affidabilità alla richiesta di veder realizzata questa attesissima esportazione.

Gran parte della fama di questo titolo si deve alla sua capacità di tracciare un’esperienza ibrida, ovvero di concentrare in un sistema unico e conchiuso -quello del gioco stesso- la duplice radice di fenomeno RPG di stampo giapponese e di simulatore stilizzato di vita: due generi che ormai possiamo considerare di tradizione anche nelle Terre a noi prossime, e che di recente hanno rinsaldato il loro legame con un’utenza fortemente fidelizzata grazie agli indiscutibili successi di Bravely Default e Animal Crossing: New Leaf.

Il registro su cui si apre l’intero contenuto stilistico e ludico di Fantasy Life è dunque teso tra queste forze portanti, in un modo sapientemente bilanciato che non permette a nessuna delle due di prendere il chiaro sopravvento sull’altra, ma anzi innesca una costruttiva interazione di alternanza e collaborazione, lasciando alla fase ruolistica il compito di trascinare l’avventura e alle meccaniche “perdigiorno” quello di trastullarsi con scopi alternativi.

Il successo del lavoro del team di Fukuoka sta principalmente nell’aver reso fluido e quasi invisibile il passaggio tra queste due architetture, che in Fantasy Life si scoprono sinergiche e talvolta persino simbiotiche. È una fluidità che ci accompagna fin dai primi momenti sulla terra di Reveria, dalla creazione libera del nostro personaggio, alla scelta del suo mestiere iniziale: che si tratti di Mago, Fabbro o Alchimista (e ce ne sono altri nove) ha poca importanza, perché il gioco ci spinge comunque a abbracciarne il più possibile, se non addirittura tutti. Autentico homo modernus, l’avatar di turno dimostra flessibilità lavorativa e capacità di adattamento: raccoglie i minerali per forgiare le armi con le quali combatterà; pesca i pesci da cucinare e si prepara pozioni e unguenti che lo aiuteranno con l’utilizzo della magia; e via dicendo. È un factotum senza requie che invero potrebbe bene affidarsi ai variopinti venditori disseminati nelle varie città e regioni, ma andando così a discapito del completamento di alcuni importanti obiettivi e della salute delle proprie finanze. Si capisce subito che una scelta di puro game design come questa non può giungere indolore e senza conseguenze, soprattutto per chi, come me, al ristorante detesta gli assaggini, per chi preferisce gli album musicali a una raccolta di canzoni, e per chi sceglierà sempre un romanzo piuttosto che un breve racconto. In altre parole, la profondità della meccanica di gioco, quella da esplorare e da studiare fino in fondo, si perde inevitabilmente nella dispersione delle diverse vite lavorative che ci troveremo a intraprendere, ma allo stesso tempo si redime quasi completamente permettendo al giocatore paziente di non lasciare alcun contenuto inesplorato, alcun bisbiglio inaudito.

Quasi inaspettatamente, la formula emerge come pienamente vincente non appena si saggia con mano che ogni mestiere è caratterizzato da una linea di missioni originale, e che l’esercizio stesso della professione avviene per mezzo di mini-giochi che ne definiscono la parziale unicità. Questo semplice espediente, oltre a creare una base di gratificazione attiva nei diversi momenti di produzione, raccolta e combattimento, diventa ingegnosamente la vera matrice coattiva e motivazionale del gioco, il suo motore principale; ed è così che Level-5 incastra, come la soluzione di un complesso rompicapo, i tasselli che compongono l’immagine della giocabilità totale, partendo da due registri ludici apparentemente differenti. Il vero beneficio di questo elastico tra personificazione del mestiere e adeguamento alla struttura di gioco è allora chiaramente dato dall’attesa della ricompensa, che si ritrova nel potenziamento delle statistiche come nell’acquisizione di un ricavo immediato (per esempio un bottino speciale lasciato da un mostro particolarmente ostico), così come nel suo confondersi con l’aspetto più prettamente ruolistico, fornito dalla voglia di giungere alla fine del proprio apprendistato formativo per godere di tutti i benefici della padronanza di una professione. Ma in un certo senso, e più profondamente, è la quest principale a uscirne sollevata.

E ciò perché, con l’incombenza del suo arco narrativo, questa altro non può fare se non supportare defilata e innocua l’esuberanza del nostro eroe iperattivo e del suo gran daffare. La incontriamo scandita da una quest portante, denominata “Saga di Lunares”, e sospinta con moto inerziale dai richiami angelici di una misteriosa farfalla chiacchierona, la cui unica aspirazione sembra essere quella di parlare al cielo stellato e di ascoltare i desideri di tutti gli abitanti del mondo fantastico di Reveria; un mondo che per quanto pacifico e dominato dalla giustizia (si guardi bene, il gioco prende anche una posizione fortemente reazionaria, tacciando di mascalzonaggine due sempliciotti, la cui colpa è quella di non avere talenti particolari e dunque essere disoccupati, in un contesto dove il lavoro è chiaramente una virtù dell’anima) trema sotto la minaccia di distruzione portata dalla luna stessa, per ragioni -almeno inizialmente- del tutto ignote. Oltre ad omaggiare, per chi volesse, uno degli episodi più cupi e sconcertanti della leggenda di Zelda (possibilmente ripulendolo da ogni macchia d’inquietudine) e a portare sulla scena il forte sentimento animista della tradizione rurale giapponese per mezzo di personaggi fantastici come gli spiriti della foresta, la Saga di Lunares ha il merito di introdurci alle varie regioni del mondo e ai loro abitanti, ma scade ben presto in un ricorso eccessivo agli stereotipi di genere che lasciano sfociare il racconto nella banalità e nello zuccherino, con una leggerezza d’intenti a volte davvero enigmatica. Vista però sotto la luce di una precisa mossa da parte degli sviluppatori di preservare il nucleo ludico del proprio prodotto, una storia così poco invasiva permette al gioco di crearsi il proprio spazio vitale, il proprio polmone d’avventura: il proprio “sandbox”, e in definitiva al giocatore/eroe di interpretare le sfuggenti linee guida dei mestieri, delle quest secondarie e dell’esplorazione, nella più completa libertà possibile, slegato cioè da ogni costrizione di ritmo e di destinazione.

Strettamente legato alla fase d’esplorazione è il combattimento, che si distanzia radicalmente dalle certezze dell’alternanza a turni per misurarsi con un approccio in tempo reale e d’ispirazione chiaramente hack’n’slash, decisamente più consono alle esigenze funzionali del gioco. Per quanto non si tratti di un sistema raffinato, e indipendentemente dalla voglia di imbracciare l’arco, brandire una spada o uno spadone, oppure votarsi totalmente alle arti arcane, la soddisfazione di portare a termine una delle dure e non infrequenti battaglie sarà tale da spingervi in avventure sempre più ardite alla scoperta di tesori nascosti in labirintici dungeon, oppure a fronteggiare mostri secolari dai poteri innimaginabili. Se certe sfide dovessero poi essere troppo dure per il vostro eroe solitario, il gioco vi permette di radunare un conveniente gruppetto di tre sparvieri con il quale creare un sodalizio armato e partire verso la gloria. Oltre ad essere tremendamente utili, in queste fasi di spedizione di gruppo si intravedono nitidamente le enormi potenzialità di un gioco cooperativo online, che aprirà le porte ad una cooperazione in locale fino a tre giocatori e su rete wireless fino a quattro giocatori. Ma attenzione, nella più classica intransigenza Nintendosoltanto gli amici potranno accedere al vostro mondo per aiutarvi, e voi potrete partecipare alle avventure unicamente dei vostri amici. Piaccia o meno, questo ormai è lo standard adottato dalla casa di Kyoto.

A tessere la trama della coerenza visiva è stata d’ispirazione l’arte delicata della mano di Amano Yoshitaka, autore esclusivamente delle illustrazioni introduttive, mentre il mondo di Reveria e dei suoi personaggi ha preso vita con l’inconfondibile stile grafico Level-5, con i volti tondi dei fanciulli curiosi e i tratti bonari degli adulti, ben modellati da un 3D piacevole e di spessore, in grado talvolta di regalare squarci di pregevole taglio fotografico e profondità, considerate ovviamente le evidenti limitazioni tecniche del piccolo portatile Nintendo. Come risposta sensoriale, le musiche del maestro Uematsu abbondano di fiati e tonalità maggiori, per una piacevolezza melodica che sembra sospingere via le nuvole dal cielo di Reveria, e attirare il buonumore ovunque se ne cerchi traccia.

Apprezzabile, e anzi più che degna di nota, la traduzione completamente in italiano di tutto il materiale testuale che troverete su cartuccia: dalla simpatica ironia dei nomi, predicata sull’azzeccata caricatura del nomen-omen, fino ad ogni singolo aspetto dei dialoghi e dei menù. Con i tempi che corrono, e le versioni occidentali che tardano (e casomai nemmeno arrivano), certo non è poco.

In conclusione…

Fantasy Life gode di un’intima maturità, non appariscente ma in grado di infondersi nel giocatore attraverso la dilettevole  giostra dei suoi molteplici sotto-giochi. Fatto di semplicità e di meccaniche pulite, trova un equilibrio ludico, prima ancora che tematico, non concedendosi mai alla bizza pretestuosa di voler regalare più di ciò che è in grado offrire. È un piacevole e amichevole viaggio nella terra magica di Reveria, raccontato in pochi, essenziali tratti stereotipati, e idealmente orientato verso la propria meta da una costellazione inesauribile di attrazioni secondarie, molto spesso ripetitive, ma mai scovate nell’intento di perturbare il già cadenzato ritmo di gioco.

La duplice natura del titolo non smentisce inoltre le caratteristiche magnetiche proprie dei generi che lo contaminano, ma anzi le unisce in una formula rinnovata. Si assiste alla crescita progressiva delle statistiche del personaggio, alla buona libertà di esplorazione in una terra variegata e spaziosa, che a sua volta si fa terreno di coltura per il perfezionamento dei mestieri, e infine all’impiego di tutte le arti acquisite per correre dietro al sogno di un’avventura eroica o alla brama di acquisire inaccessibili rarità.

Tutti questi elementi rendono Fantasy Life un vero e proprio “oggetto transizionale”, un feticcio stuzzichevole a tratti ammorbante al quale deliberatamente abbandonarsi, con consigliata moderazione, e in grado di offrirsi al vostro gusto in modo davvero convincente se sarete in grado di accettare quella fastidiosa sensazione di superficialità che si insinua ogniqualvolta il gioco decide di seguire il sentiero strutturato del racconto fantastico. Un’amabile sciocchezza, che tuttavia risulta così sorprendentemente a suo agio con lo spirito scanzonato dell’avventura da non alterare significativamente la qualità complessiva di questo ispirato e grandiosamente frivolo gioco Level-5.

Voto: 8/10

Chi, come me, è nato intorno alla metà degli anni '80, può considerarsi a buon diritto figlio elettivo della generazione del videogioco. Perso irrimediabilmente tra sogno e nostalgia, mi aggrappo ostinato a un qualsiasi strumento di iniezione ludica -endorfina purissima a circuito chiuso- come una creatura che morde per il suo latte. Apprezzo e ammiro ogni proposta di intrattenimento intelligente, ma sono irrimediabilmente stregato dal genio di Nintendo.

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