Popcorn Time: Under the Skin

Popcorn Time: Under the Skin

Finalmente una sfida.
Esatto, perché inquadrare ed etichettare la pellicola di cui scriverò oggi lo è sicuramente, e di quelle toste. Andiamo con ordine.
Dopo il debutto all’estero risalente al 2013 arriva anche nei cinema nostrani il dramma “fantascientifico” siglato Jonathan Glazer: Under the Skin.
Tratto dall’omonimo, apprezzato romanzo di Michel Faber il lungometraggio vede protagonista una vera e propria icona della cinematografia contemporanea: Scarlett Johansson. Fino a qui tutto bene, anche troppo, ragion per cui sorgono le prime incertezze su quello che si pone come un film molto, molto impegnato fregiandosi di una cornice lenta, complessa, (simil?)autoriale.
Con il fluire pacato dei titoli di coda inizia la sfida cui accennavo sopra: ho assistito ad un’opera poetica o al tentativo di riprodurla? Tanto fumo falsamente intellettuale o sostanzioso arrosto d’autore?
Il verdetto va a porsi a metà strada, direi.

A metà articolo sarebbe doveroso tracciare una sinossi, magari per indirizzarvi e piazzare una bella cornice ad una tela molto confusa, il problema (o al contrario, la forza del film) è che non si può parlare di una vera e propria trama, non ci sono puntini da unire o labirinti da attraversare, solo una sinfonia di (potenti, in qualche caso) suggestioni audio-visive e un chiarissimo invito alla libera interpretazione. Posso indicarvi qualche elemento cardine, questo sì: abbiamo una protagonista con molto da nascondere, uomini soli che cadono tra le sue braccia ignari del terribile errore compiuto e l’inospitale panorama scozzese a fare da sfondo al macabro teatrino.

Se penso al Cinema con la C volutamente e meritatamente maiuscola posso trovare diversi esempi di accostamenti fantascienza-arte-poesia. Basti pensare a Stalker o Solaris, illuminanti capolavori di Tarkovsky, L’Ignoto Spazio Profondo, perla di quel geniaccio di Herzog, o ancora l’arcinoto 2001: Odissea nello Spazio di Kubrick. La lista potrebbe continuare a lungo, ma non è necessario, il messaggio è già molto chiaro: il livello dell’eccellenza esiste, abbiamo prove ad oltranza in merito, ma rimane molto molto lontano.
Detto questo sarebbe sbagliato negare ogni merito al lavoro di Glazer, di sicuro rimane l’ottimo, ispirato adattamento di una lettura interessante. La prova della Johansson è – ancora una volta – all’altezza delle aspettative e le atmosfere cupe, angoscianti, gonfie di solitudine si sposano perfettamente con una colonna sonora particolare quanto azzeccata. I ritmi sono lenti, forse troppo, in maniera ostentata.
Che dire? Visto il palinsesto che può offrirvi una sala cinematografica oggi Under the Skin è di sicuro la scelta giusta, ma i più esigenti di voi non si aspettino il capolavoro che – ahimé – forse poteva essere.

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A noi ricorda…

 Alan Wake: universi differenti e nemmeno troppo paralleli, va detto, ma se consideriamo le atmosfere, il senso pressante di angoscia e l’ottima sceneggiatura allora il film di Glazer e la memorabile fatica Remedy hanno parecchio in comune. Riuscitissimo ibrido tra opera cinematografica e videogioco, Alan Wake è uno di quei titoli che difficilmente svaniranno dalla memoria di chi l’ha provato!

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Appuntamento a settimana prossima con la recensione di un horror fresco fresco di distribuzione… Necropolis – La Città dei Morti !

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