Popcorn Time: Jersey Boys

Popcorn Time: Jersey Boys

L’universo del Cinema ha le proprie stelle, meteore e – dulcis in fundo – i propri dei.
Tra questi ultimi troviamo senza ombra di dubbio un signore nato nel 1930 a San Francisco: Clint Eastwood.
Scrivere della carriera di Clint rispettando la cornice di una recensione del Popcorn Time sarebbe ridicolo e quasi offensivo, quindi lascio a voi l’onore e l’onere di “esplorare” a 360 gradi le fatiche che negli anni hanno reso il “texano dagli occhi di ghiaccio” un’icona immortale.

Veniamo al dunque. Proprio il sopracitato signore ha da poco regalato all’audience mondiale una nuova opera che lo vede  nel ruolo di director. Il film si intitola Jersey Boys, e ci proietta negli anni ’60 per assistere all’ascesa del gruppo rock che proprio in quel periodo  esplose negli States: The Four Seasons.
La scelta del soggetto è a dir poco coraggiosa, il palcoscenico dell’entertainment è saturo di serie e film a tema musicale e la paura di assistere ad una versione vintage di Glee – nonostante il nome del regista – era tutt’altro che infondata.
Quello del musical è un terreno insidioso, le sabbie mobili sono ovunque, così come il rischio di scivolarci con entrambi i piedi e trasformare un’opera rispettabile nella parodia di un video musicale troppo lungo, caotico, inutile. Su questo fronte, però, posso rassicurarvi immediatamente: Jersey Boys si discosta in maniera netta e completa dai canoni del genere ed è innanzitutto il racconto appassionato e diretto di un (in)quieto vivere con la speranza di cambiare le cose, di dare un senso alla propria esistenza, all’esistenza in generale inseguendo una chimera dopo l’altra con la spregiudicata incoscienza che tutti nascondiamo.

Certo, resta il fatto che dietro alla macchina da presa – se ricordate – c’è Mr. Eastwood,  e se pensate di assistere ad una delle sue opere migliori siete fuori strada: Jersey Boys è il risultato di una scommessa registica vinta solo in parte, nemmeno lontanamente un capolavoro, ma un bel film che merita attenzione e rispetto.

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A noi ricorda…

 L.A. Noire: ok, le scene del crimine del titolo Rockstar non hanno granché da spartire con chitarre e microfoni, ma quando vedo bolidi e pettinature retrò non posso far altro che ripensare ad L.A. Noire. Gli ingredienti alla base dei due titoli – in fondo – sono gli stessi: atmosfera, atmosfera e ancora atmosfera, con quell’inconfondibile tocco “dopoguerra” nello stile.

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L’appuntamento è per settimana prossima… Toccherà ad un horror che aspetto da un bel po’ e che – finalmente – è sbarcato anche nelle sale nostrane: Le Origini del Male ! Ci tengo a ricordare il (decisamente migliore) titolo ufficiale inglese: The Quiet Ones.

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