Goat Simulator – Recensione

Goat Simulator – Recensione

La Svezia ci ha donato il “suo” death metal, l’IKEA (e i suoi deliziosi gelati), grandissimi videogiochi partoriti da altrettanto grandi team e Minecraft, ma parafrasando quelle pubblicità da boccaloni piene di fotomontaggi dozzinali e dugonghi antropomorfi, è lecito chiedersi: “Has Sweden gone too far?“. Goat Simulator è un pastrocchio, è la Costa Concordia del coding, un tripudio di eccessi, deliri ed invocazioni all’Oscuro Sire, uno schiaffo al brainstorming, alla pianificazione, alle ricerche, al sudore e alla fatica. Non è neanche il miglior modo per spendere quei circa 8 euro, e sono le stesse folli menti dietro il progetto, gli scandinavi sviluppatori dietro il nome Coffee Stain Studios, i primi a dirlo, consigliando di spendere tale cifra, piuttosto, in hula hoop, in mattoni, o in una vera capra. E non solo perché i bug fan parte del gameplay stesso, o perché il prodotto “completo” (termine da prendere con le pinze) ha visto la luce solo dopo le pressanti richieste di stampa, youtuber e pubblico, che han trasformato una jam interna del team in un gioco vero e proprio, ma un po’ per la sua natura stessa, un po’ per la brillante idea di pubblicarlo il primo aprile, investire soldi e tempo in un simile titolo si rivelerà essere un qualcosa di estremamente surreale.

Del resto, in Goat Simulator non c’è spazio per arzigogolati parallelismi, astruse metafore, complesse sub-plot di cage-iana memoria, o tocchi magistrali alla Kojima: si usa una capra, si fa casino, si prende tutto quel che capita a cornate e si ride come dei cretini per due, tre ore circa, forse più, nel caso in cui il vostro umorismo non sia un club particolarmente elitario. Un approccio estremamente menefreghista all’antica arte della mimesi caprina, con quel tocco “free-roaming” (il “free-roaming” alla Ground Zeroes, per intenderci) che non guasta mai e che ben si presta al delirio del quale sarete protagonisti in men che non si dica e senza troppi orpelli narrativi/introduttivi: l’unica mappa a disposizione (per il momento) è pura essenza sandbox, nella quale sarà possibile totalizzare punti inanellando combo e distruggendo staccionate, pali della luce, mobilio delle poche case presenti, auto e pompe di benzina, oppure “afferrando” con la lunghissima lingua della protagonista qualsiasi oggetto in circolazione (palle da basket, bicchieri, poltrone) senza un motivo né uno scopo, ma solo per poter dire, non senza orgoglio, “la mia capra è differente”.

I comandi sono semplici, tra testate e calci affidati al mouse, un tasto per belare, uno per correre, uno per lo slow-motion (?!?) e persino uno per  attivare istantaneamente l’effetto ragdoll, rendendo salti e scivolate ancor più stupidi ed esagerati, e facendo sembrare lo smidollato pilota dei vecchi FlatOut (spesso sfruttato come palla da bowling o dardo) un principiante dotato però di spina dorsale.  A dare un minimo di senso (?) al tutto ci penseranno dei collezionabili (giraffe d’oro – ?!) grazie ai quali sbloccare nuove skin (anzi, “nuove pelli” rende bene nella nostra lingua), delle sfide a tempo classificate e degli achievements anch’essi assurdi ed esilaranti, che spaziano dall’effettuare dei semplici trick facendo roteare la povera bestia in volo, allo scovare zone segrete, tormentando nel mentre i poveri NPC presenti (vederli schizzar via grazie ad un velocissimo tapis roulant è più divertente di quel che sembra), così come una manciata di pseudo-quest che richiederanno, rullo di tamburi, un minimo di logica, il tutto condito da strambe easter egg (ma le capre non erano  dei mammiferi? “Easter Lamb” sarebbe stato molto più…no, ok. – ndr)

Il tutto si limita, insomma, ad un concentrato di salti esagerati, esplosioni e capre scaraventate ovunque, dischi volanti, muri invisibili respingenti, botte agli zebedei e barbecue rovinati, il tutto mosso da un motore fisico che è davvero l’unico elemento sul quale il team ha investito un minimo di risorse e fatica, i cui punti di forza sono però l’estrema goffaggine dei movimenti, l’effetto ragdoll qui venerato come una divinità, e le tonnellate di problemi che rendono l’intera esperienza ancor più delirante, a partire dalla testa della capra che si allungherà sistematicamente al contatto con qualsiasi struttura o elemento, un qualcosa che il team non intende sistemare, nel nome dell’eterno Spring Break che regna negli uffici (e nelle menti) di questa gang di trolloni.

Fa tutto parte dello show (tranne gli sporadici crash che invece, quelli sì, verranno corretti), che dietro il suo essere tanto brutto da esser bello, le sue citazioni, il suo nonsense totale, nasconde, sì, sto per scriverlo, delle potenzialità. Coffee Stain ha ben pensato infatti di sfruttare Steam, il suo WorkShop e la materia grigia di una community che crescerà a dismisura, ne sono certo, in pochissimo tempo, aprendo il proprio titolo a mod e customizzazioni che già da ora promettono di estendere all’infinito longevità e weirdness del titolo: ok, è il primo d’aprile, ma sono dannatamente serio nel dire che un deathmatch tra capre potrebbe essere quel che serve all’industry stagnante e spompata di oggi. Seriamente, pensateci un attimo.

In conclusione…

Nato, sviluppato e giocato per scherzo, è davvero difficile credere che Goat Simulator sia divenuto realtà, ma soprattutto, che sia anche divertente. Con i suoi bug integrati nel gameplay stesso, una fisica surreale, un nonsense trasudato da ogni poro e uno dei protagonisti più ca(p)rismatici in circolazione, sarà l’ennesimo tormentone, tra screenshot da condividere sulla rete, commentari e video gameplay che stanno già invadendo YouTube et similia. La sua essenza “random” non deve però sminuire tutto quel che di buono e divertente che una community attiva potrà offrire, grazie all’intelligente supporto alle mod, così come agli strambi segreti sparsi nella non troppo vasta mappa messa a disposizione dal team, o all’intera metafora che vuole forse essere Goat Simulator, una sonora pernacchia a quella grassa e sterile industry nella quale si farà largo a partire da oggi senza il bisogno di budget milionari, o idee davvero vincenti.

È forse però il dare una parvenza di serietà ad un articolo su un titolo del genere, soprattutto in una giornata come questa, a completare degnamente l’esperienza delirante del simulatore (?) di Coffee Stain.

S.V.

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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