Strider – Recensione

Strider – Recensione

Incontrare volti noti a distanza di 15 anni è sempre un esperienza strana: come con un vecchio amico di cui si sono perse le tracce nel tempo, si vive quell’istante di incertezza alla ricerca di indizi che ci facciano capire se qualcosa è rimasto della persona che conoscevamo. Nel caso di Strider è sufficiente osservarlo entrare in scena a bordo dell’iconico deltaplano, accompagnato da una melodia non ancora dimenticata, per tranquillizzarsi e realizzare che in fondo nulla è cambiato. Bastano pochi colpi di Cypher e capriole nel vuoto per assodare questa sensazione di familiarità, a dimostrazione che il team Double Helix sa quali corde toccare per riaccendere la magia che nel 1989 aveva dato alla luce uno dei titoli più frenetici e visivamente appaganti della generazione 8 e 16 bit.

Quando i suoi pollici non interagiscono con periferiche esterne, sono saldamente aggrappati alle sue tavole (a rotelle e senza), hanno scritto una tesi sulla game culture e fanno i super eroi in ambulanza. Oltre ai pollici, è molto fiero del suo naso.

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