Donkey Kong Country: Tropical Freeze – Recensione

Donkey Kong Country: Tropical Freeze – Recensione

 La favola d’inverno, per i canoni delle menti Nintendo, ha il sapore di un’evasione tropicale, attesa per più di tre anni e costruita a partire da quel sontuoso lavoro di modellazione operato dai Retro Studios grazie al quale un classico del platforming come Donkey Kong Country ha potuto vivere una seconda vita negli occhi di una nuova, smaliziata generazione di videogiocatori. L’insidia che il progetto Tropical Freeze presentava era legata al doppio volto dell’esigenza contingente, sia di Nintendo che dei suoi utenti più appassionati, di riuscire a creare una nuova esperienza di gioco che fosse familiare ma non derivativa o blanda, e al contempo omaggiare l’unicità della morfologia ludica di Wii U con un prodotto simbiotico perfettamente integrato nel macchinario d’elezione.

 

Chi, come me, è nato intorno alla metà degli anni '80, può considerarsi a buon diritto figlio elettivo della generazione del videogioco. Perso irrimediabilmente tra sogno e nostalgia, mi aggrappo ostinato a un qualsiasi strumento di iniezione ludica -endorfina purissima a circuito chiuso- come una creatura che morde per il suo latte. Apprezzo e ammiro ogni proposta di intrattenimento intelligente, ma sono irrimediabilmente stregato dal genio di Nintendo.

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