Lone Survivor: The Director’s Cut – La Recensione

Lone Survivor: The Director’s Cut – La Recensione

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Lo ameranno: gli amanti delle avventure di sopravvivenza e delle atmosfere lugubri e asfissianti
Lo odieranno: chi considera le visioni da hippie
E’ simile a: Silent Hill in 2D

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lone_survivor_by_tchiba69-d4xqlgrTitolo: Lone Survivor: The Director’s Cut
Piattaforma: PS3 / PSVita / PC (la versione originale)
Sviluppatore: Jasper Byrne (Superflat Games) / Curve (Porting)
Publisher: Sony
Giocatori: 1
Online: Assente
Lingua : Inglese

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Carne putrefatta...carne putrefatta ovunque.

Carne putrefatta…carne putrefatta ovunque.

The sound of silence

Saranno davvero pochi i luoghi in cui tirare un sospiro di sollievo...

Saranno davvero pochi i luoghi in cui potrete tirare un sospiro di sollievo…

A circa un anno e mezzo dal debutto su PC, il fenomeno horror indipendente partorito e sviluppato alla fervida mente di Jasper Byrne è pronto a (soprav)vivere anche su piattaforme Sony, con una riedizione che offre alcuni contenuti extra ma nessuna particolare features legata alle due piattaforme. L’inizio della fine prende forma nell’appartamento numero 206, apparentemente una topaia, ma state certi che a confronto di ciò che vedrete nel corso di questa breve ma intensa avventura, vi sembrerà una reggia. Nei malconci panni di un giovane, “You”,munito di mascherina, torcia e un campionario di visioni ed incubi ad occhi aperti e chiusi, ci alzeremo dal letto come ogni dannata mattina, e come ogni dannata mattina dovremo cercare di sopravvivere un altro giorno, e un altro giorno ancora, finché il corpo e la mente lo permetteranno.

Peccato che gli psico-tormenti della notte precedente e la scarsità di provviste spingano il nostro eroe ad abbandonare quella non-vita al sicuro, tentando un primo approccio al mondo esterno, e perché no, a qualche forma di vita non ancora devastata da un fantomatico virus. Purtroppo per lui e per il giocatore, le pochissime entità senzienti in circolazione si barcamenano tra realtà ed immaginazione, tra baratti, qualche sollievo e frasi criptiche, troppo criptiche, che difficilmente troveranno una risposta, se non provando a srotolare il bandolo della matassa donatoci da Jasper Byrne, one man army dietro questo peculiare progetto. L’intera esperienza si svilupperà lungo i piani dell’hotel nel quale “You” ha trovato rifugio e i vicoli nei paraggi, tutti disposti in 2D e dalla struttura labirintica e complessa, complice anche un buio perenne che è al centro del gameplay. Lo scopo principale è quello di sopravvivere, ma i nemici saranno “molteplici”: quelli canonici sono i Thinmen e i Fatmen, orribili mutazioni (quasi) prive di vista ma non di vorace fame di carne umana, ma ci saranno fattori concatenati tra loro come la fame, la stanchezza e la sanità mentale a scandire le nostre giornate.

Avrete il coraggio di guardare così intensamente la vostra immagine in uno specchio impolverato?

Avrete il coraggio di guardare così intensamente la vostra immagine in uno specchio impolverato?

Dormire nel nostro letto, unico checkpoint e punto di salvataggio, sarà impossibile nel caso in cui il nostro stomaco brontoli, o le turbe psichiche ci tolgano la tranquillità necessaria, destinandoci a morte certa, ma praticamente ogni nostra azione, anche la più piccola, andrà ad influenzare l’intera esperienza e persino uno dei finali multipli a disposizione. Uccidere le amenità che incontreremo sul nostro cammino ci disturberà profondamente, così come il mangiare cibo pessimo, inumano (come i topi) o crudo, così come l’approcciare o il rispondere in determinati modi ai pochi individui che incontreremo, sino alla compulsiva ossessione nei confronti di un oggetto o una foto. Procurarsi del gas e sfruttare il forno ancora attivo nella nostra abitazione, cucinando così del buon riso, dei caldi fagioli o un succulento prosciutto, ci rimetterà invece in pace col mondo, ripristinando la nostra salute e sanità mentale, così come una bella partita ai videogames, la lettura di un fumetto, o una chiacchierata con piante o pupazzi.

La nostra interazione con le creature avverse, come detto, influenzerà il nostro stato psichico, e delle ottime trovate di gameplay ci daranno spesso carta bianca su come proseguire, dato che quasi tutti i nemici saranno inevitabili, data anche la natura 2D del titolo. In primis potremo sfruttare il buio e le sue due facce della medaglia: ci nasconderà dalla flebile vista dei Thinmen, ma senza luce della torcia, legata alle pochissime batterie che troveremo lungo il cammino, ci sarà impossibile recuperare oggetti o persino aprire porte, e di conseguenza proseguire. Ci sono poi dei doppi fondi nelle pareti, lungo le quali potremo strisciare silenziosamente, camminando lentamente alle spalle dei nemici e occultarci nella maniera più indolore possibile, magari attirandoli grazie agli immangiabili pezzi di carne marcia che troveremo in quantità nel frigo del nostro rifugio.

Se l’approccio “stealth” dovesse annoiarvi, preparate le pillole di tranquillanti e le munizioni, in quanto impugnerete comunque una pistola (ma pochissimi colpi), o degli utili bengala che stordiranno per qualche secondo tutti i nemici presenti sullo schermo, utilissimi nelle situazioni più concitate. Uccidere o meno, morire sarà davvero semplice, tra la scarsità di cibo e i pochi colpi necessari ai mostri per danneggiare letalmente il giocatore, e solo un intrigante sistema di teletrasporto, affidato a degli specchi impolverati che troverete sempre nel posto giusto al momento giusto, renderà il tutto decisamente meno frustrante, in quanto il minimo errore costerà davvero caro, e saranno solo l’istinto del giocatore e il suo senso dell’orientamento (oltre a delle utili mappe) a tenerlo in vita, a minimizzare le perdite e a usare intelligentemente le poche scorte a disposizione. Barattare 10 munizioni per 3 bengala? Sacrificare una pila della torcia per una partita ai videogames? Mangiare quel delizioso tonno o darlo a quello strano gattino bianco? Scelte apparentemente insignificanti, ma in grado di stravolgere gli esiti dell’avventura.

Faccia da scatola, cosa vuoi da me?

Faccia da scatola, cosa vuoi da me?

Un’avventura che a conti fatti è un vero tributo al gaming del passato, a partire dalla sua natura, sorta di rivisitazione in 2D dei primi Silent Hill,  tra porte da sbloccare, mura insanguinate e cuore perennemente in gola, ma è il lato tecnico a urlare “old-school” da ogni pixel. Nonostante ogni sprite trasudi ansia, disperazione e decadenza, non ci saranno milioni di poligoni a travolgere i vostri occhi: stiamo pur sempre parlando di un titolo sviluppato da un singolo, portentoso individuo, e una grafica 16bit, in più di un’occasione, è riuscita a salvare il portafogli e a regalare emozioni, soprattutto come in questo caso. Tutto è dannatamente curato, dalle (poche) animazioni fino alle (altrettanto poche) location, tutte ben realizzate, varie e asfissianti quanto basta, tra appartamenti in disuso, stradine devastate da non si sa cosa, e i terribili scantinati, che nonostante la poca luce e la grafica spartana vi terranno col fiato sospeso in ogni momento, complice anche un comparto audio davvero avvolgente, tra i gorgoglii distorti e perenni dei mostri, e dei brani  che spaziano dal jazz all’ambient più aliena e dissonante, non disdegnando momenti rilassati e pop-rock anch’essi, nonostante tutto, stranianti, in quanto c’è davvero poco di cui star tranquilli.

L’unica nota dolente è forse la durata: il mio playthrough complessivo è durato 2 ore e 59 minuti, circa il doppio contando trial & error assortiti, morti impreviste ed esperimenti falliti, nel tentativo di combinare oggetti e cibi con risultati poco convincenti. A tal proposito, data la breve durata, il combinare tutto ciò che troveremo, così come i succitati fattori esterni, in particolare la sanità mentale, non vengono purtroppo sfruttati a dovere, in quanto non appena imparerete a dominarli sarete già ai titoli di coda, ed è un vero peccato, data la potenziale profondità di gameplay che questo titolo avrebbe potuto offrire. Riguardo invece la versione PSVita provata, oltre alla comodità di mirare col grilletto destro e sparare col tasto “X” rispetto alla versione PC, non ci saranno differenze degne di nota, rappresentando un acquisto superfluo per chiunque abbia già avuto modo di gustare l’originale.

Take a seat and enjoy the Freakshow!

Take a seat and enjoy the Freakshow!

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In conclusione…

Lone Survivor è un’esperienza decisamente sopra le righe: un survival semplice e dalla grafica spartana, dotato però di intuizioni e una cura tale da renderlo piacevolmente claustrofobico, intenso e potente emozionalmente. Tra la trama asciutta e contorta, scandita da visioni mistiche, frasi senza senso e strani individui, il gameplay che riduce all’osso lo shooting in 2D e gli dona un pizzico di stealth, lieve backtracking esplorativo e un sistema di fame/sonno/ salute mentale condizionato da ogni singolo gesto del giocatore, anche il più infimo, fino alla combinazione e interazione tra oggetti, con tanto di cottura di cibi, o di pile risicatissime da usare con parsimonia, ne vivrete della belle. Peccato che la brevissima durata, solo 3 ore in media, non permetta di godere pienamente di tutte queste intriganti meccaniche, le quali diventano a conti fatti delle mere medaglie da mostrare. In compenso l’atmosfera, complice il buio perenne, un design old-school ma curatissimo e un comparto audio di livello, vale da sola il prezzo del biglietto, pronta ad avvolgere, a deludere, e a confondere l’ignaro giocatore, inevitabilmente rapito dall’opera di Jasper Byrne e brutalmente gettato nei meandri della sua contorta mente.

Peace?

Peace?

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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