Uncharted: L’abisso d’oro – La Recensione

Uncharted: L’abisso d’oro – La Recensione

 

Lo ameranno: Chi oltre che la trilogia di Indiana Jones ha visto più volte “All’inseguimento della pietra verde” e “Il gioiello sul nilo”

Lo odieranno: Chi “ai portatili io ci gioco ad angry birds in fila alle poste”

E’ simile a:       La saga di uncharted.

 

Titolo: Uncharted: L’Abisso d’oro

Piattaforma: PSVita

Sviluppatore: SCE Bend Studio

Pubblicazione: Sony Computer Entertainment

Giocatori:1

Lingua: Italiano, testo e parlato.

 

Uncharted, una delle IP esclusive di Sony, che forse meglio caratterizza lo spirito della sua ammiraglia, trova ora anche il suo posto sui nostri divani. Questo quarto episodio sbarca ,infatti, assieme ad una lineup sorprendentemente nutrita, e di altissima qualità, sul nuovo piccolo dispositivo Playstation. Ne definisce subito le ambizioni tecniche, ne dichiara immediatamente le possibilità e fa sopratutto intuire che questo sia solo l’inizio.

Visigoti e Conquistadores

Le vicende di Uncharted: L’abisso d’oro, sono situate prima dell’inizio della saga, prima di quel Drake’s Fortune che ha settato le caratteristiche peculiari della serie. In realtà, come praticamente tutti i capitoli di Uncharted la cosa è totalmente secondaria, considerando che i vari capitoli sono episodi narrativamente blindati, e poco hanno a che fare tra loro. Troveremo quindi Nate, come lo troviamo sempre, maglietta impolverata, jeans sdruciti ed il solito bagaglio di sbruffonerie.
Come da tradizione il viaggio di Nathan incrocerà vari misteri della storia, in questo caso l’intrecciarsi di due miti, del vecchio e del nuovo mondo, quello delle sette città d’oro. Le antiche tracce di un massacro di spagnoli, i diari di un frate francescano e simboli visigoti, (in America centrale!) lo metteranno sulla via delle sette città, e del misterioso abisso d’oro. Anche in questo episodio il parco dei  comprimari di Drake si arricchisce di nuove entrate, troviamo infatti la giovane archeologa Marisa,(aka Chase) pacifista, che rifiuta l’uso di armi, con nostro grosso disappunto, e un vecchio ricco e smargiasso truffatore doppiogiochista dal nome che è tutto un programma, Jhon Dante. E ovviamente un pericolosissimo villain, Guerro, capo dei ribelli che persegue la ricerca per portare oro alla causa.
Ovviamente, nessuno si preoccupi, Sully c’è, e arriverà a darci manforte.

La trama di questo ultimo capitolo si mantiene in linea con i precedenti, nessuna minaccia occulta, purtroppo, ma una molto reale, chiude un plot comunque ben scritto, il ritmo dei dialoghi è quello che conosciamo, non annoia mai e si mantiene sui  livelli di un buon film d’azione e avventura anni 80. Le spalle di Drake, a parte il vecchio Sully, che è una sicurezza, e mantiene sempre alto  il livello di saggia e sarcastica virilità, fanno il loro senza spingere più di tanto. Anche perchè ci sarà meno ricambio di compagni e location, in quest’avventura, rispetto all’ultimo capitolo.

 

Il controllo è tutto..

Abbiamo ancora in mente i vari video dell’E3 dove dita pacioccose mostravano come sfregando il touch posteriore Nate si arrampicasse su cordame vario. Bene ammetto che fossi stra-convinto che l’implementazione dei controlli touch e movimento sarebbero stati solo di questa stregua, un mero optional, la solita ridondanza di controlli cui ci si trova di fronte quando vanno mostrati a tutti i costi. Sono stato quindi contentissimo di essere piacevolmente smentito dallo Studio Bend. Le implementazioni del touch screen anteriore posteriore e del sensore movimento e ,in un caso, anche della fotocamera, in certi frangenti donano una marcia in più alla giocabilità.
In molti dei casi, risultano in effetti dei semplici passatempi (come ad esempio il dover ripulire reliquie, e ritrovati, dalla polvere, spolverando il touch anteriore)  nel caso del combattimento, invece, diventano un ausilio di pregio, sopratutto l’uso delle armi da fuoco ne giova. Infatti benché il doppio stick ci permetta di mantenere lo stesso stile di gioco delle controparti ps3, la dimensione della console e la dotazione di sensore movimento e touch posteriore offre una soluzione che eguaglia, in efficienza e velocità, il sistema classico.

Mirare con un fucile da cecchino con l’unico uso degli stick per la mira, e tasti fisici per lo zoom rimane impreciso e pasticciato, vuoi per la piccolezza degli stick, vuoi per la mancanza dei grilletti. Viene qui in aiuto, ai comandi hardware, il sensore di movimento ed il touch posteriore, infatti mireremo la zona approssimativa con gli stick, sinistro e destro, e zoomeremo con il touch posteriore e con il sensore di movimento ci assicureremo la mira finale,  quella più sensibile, realizzando una cospicua serie di headshots. Il sistema funziona meglio di quanto ci si potrebbe aspettare, e fa dimenticare quasi del tutto la mancanza del pad ps3. Alcune semplificazioni portate dall’uso del touch frontale, come il poter disegnare interi percorsi d’arrampicata, che Drake seguirà automaticamente, è attenuata da sporadiche mosse false, e potenzialmente mortali, a cui dovremmo tempestivamente porre rimedio, sempre a colpi di touch. Forse una maggiore difficoltà e quantità di  questi passaggi avrebbe giovato, visto che come sappiamo, le arrampicate di Uncharted siano molto spesso delle pause  fra sezione frenetiche, e questo stile di controllo avrebbe potuto renderle più movimentate.
Il parco armi rimane pressoché invariato, mancano gli scudi dello scorso capitolo, ma troveremo sostanzialmente  il familiare armamentario.
Una nota dolente, il bellissimo diario di Drake è stato purtroppo rivoluzionato, ovvero, in sostanza, è sparito;  a mio avviso un gran peccato, visto che i disegni  gli indizi, gli appunti gli schizzi sui suoi compagni di viaggio, erano un tocco di fortissima personalità, magari un pò nascosta e non considerata da tutti. In realtà il diario di Drake esiste ancora, ma è formato da foto, sia di soggetti da scovare nei livelli, sia fatte da noi per diletto, tesori, e reliquie ritrovate. Ora, dunque, più un vero accessorio, ma meno contenuto.
Disappunto per gli enigmi, veramente pochi e ai quali la definizione di “enigma” non calza nemmeno con un fortissimo sforzo di fantasia, certo sono moltissimi i tesori da scovare in giro, pezzi di mappe da ricomporre, da “sfregare” col cartoncino per farne copie carbone e reperti da da spolverare per esaminarli nel dettaglio, che ci terranno sicuramente molto impegnati, ma qualche grosso enigma non avrebbe guastato.

Anche la potenza conta.

Solo l’occhio più smaliziato avvertirà senza difficoltà che questo non sia un episodio della serie regolare per PS3. Indubbiamente il lavoro è stato ottimo. Certo va considerato che la quantità e qualità degli effetti di luce e particellari, che abbiamo ammirato col terzo capitolo sono in larga parte da dimenticare, ma l’impatto d’insieme è impressionante. Il gioco regge il frame-rate a lui destinato egregiamente, benché il gioco sia afflitto da problemi di aliasing. Buono l’accompagnamento musicale. Gli scenari sono molto angusti, più di quanto sarebbe desiderabile, e sopratutto molto, molto, monotoni. Ambienti e visuali ad ampio respiro quando ci sono, purtroppo, rimangono un po’ artefatti e soprattutto solo di rilevanza estetica. C’è da dire che il terzo capitolo di Uncharted ci viziò particolarmente da questo punto di vista, ed è solo questo paragone a poterci far notare queste differenze. Va chiarito, questi sono peli nell’uovo che si ricercano per onor di cronaca, e sempre per onor di cronaca il discorso tecnico va chiuso con un fatto indiscutibile, su una console portatile non si è mai visto girare nulla di simile. Non ci sono modalità online, a parte lo scambio di tesori tramite il servizio Near (che qui nell’oscuro Centro-Sud-Italia ammetto di non essere riuscito ad attivare).

 

L'unico screenshot dove il logorroico Nate non parlotta, ma sta evidentemente considerando se proseguire stealth o in modalità John Rambo

 

Conclusioni

Non avete un salotto per posizionare una ps3, ma sentite il bisogno degli insegnamenti di vita di Sullivan?  Vivete in roulotte, e le vostre giornate non hanno sapore se non potete sguazzare fra  fiumi tropicali puzzolenti, infestati da sanguisughe zanzare e altri simpatici parassiti? Perfetto non è più necessario acquistare una ps3 per godervi le avventure di Nathan Drake!
Uncharted: L’abisso d’oro si propone a tutti gli effetti come un’avventura completa della serie regolare, che si ostina a voler girare su una PSvita. L’obiettivo è stato chiaramente ricreare lo stile di gioco della controparte ps3, e questo è palese in tutti i comparti. Pochi i difetti da notare, una certa monotonia negli ambienti l’assenza delle epiche scene di fuga su mezzi, enigmi eccessivamente semplicistici. D’altronde, più che di difetti, si può parlare di variazioni sul tema, che rendono in effetti più agile l’avventura, che però rimane decisamente ascrivibile alla serie come spessore narrativo e sopratutto gustosissima in quello che conta: giocare. Le potenzialità d’interfaccia della PSvita, sorprendentemente sfruttate, la rendono un’esperienza, volendo, impegnativa ma mai frustrante.

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